Cosa potrebbe accadere dopodomani / 26 Aprile 2024 in Civil War

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Versione breve: praticamente, il nuovo film di Alex Garland è The Last Of Us senza funghi assassini e relative conseguenze. Non dice o mostra niente di nuovo, sul fronte della distopia action di taglio post-apocalittico, ma, secondo me, quel che fa lo fa abbastanza bene.

Versione lunga: Civil War è una messinscena molto plausibile di una possibile versione di un dopodomani in cui, negli Stati Uniti, si scatena una nuova guerra civile, con (due) Stati secessionisti ribelli al Governo in carica.
Il film inizia bel bello in media res e non fornisce mai precise coordinate sui motivi e sugli sviluppi precisi del conflitto, il che, per me, è un elemento molto a favore del racconto, perché dà allo spettatore poche sicurezze, lo destabilizza e lo immerge subito in un clima di ansia costante. Idem per la scelta di rendere indistinguibili fra loro dal punto di vista formale i militari coinvolti (della serie: cosa importa chi spara a chi? C’è qualcuno che spara e io rispondo, sperando di restare in vita).
Ancora idem, per la scelta di non far schierare i protagonisti da nessuna parte, forse per (didascalismo) esaltare l’ideale del giornalismo neutrale e obiettivo.

Civil War non è esente dall’uso di elementi prevedibili, stereotipi (esempio: i 4 protagonisti sembrano i tipici membri alla guida di un mecha giapponese, con tante virtù e pochi difetti), didascalismi (esempio: macchine fotografiche che “sparano” come armi, cioè coi tempi e il ritmo delle armi, ma catturano immagini, invece di creare distruzione fisica), “come al solito” c’è un luogo da raggiungere/qualcuno di giovane da portare in salvo/amici-nemici da incontrare sulla via (vedi, appunto, esempi recenti come The Last Of Us e The Mandalorian, fondati, come questo racconto, dopotutto, sull’epica western tradizionale), ma è punteggiato da scelte e dettagli che ho apprezzato.
Per dire, il militare di Jesse Plemons è davvero spaventoso (anche se, nella mia testa, ho sorriso, quando ho visto incontrarsi lui e la fotoreporter di Kirsten Dunst, perché, nella vita reale, i due attori sono sposati).

Non mi pare che, finora, Garland sia riuscito a elaborare uno stile alla regia particolarmente riconoscibile e connotato (cioè, non mi sembra che, guardando la scena di uno dei suoi film, in questo momento, si possa dire: “Ma certo! È chiaro che questo è un film di Garland o alla Garland!”), però il risultato, in questo caso, è interessante, con qualche bella scelta di composizione e fotografia.

Forse, non è un film deflagrante come il trailer mi aveva lasciato supporre (ma non saprei neppure spiegare bene perché e come ci fosse riuscito e come, invece, abbia mancato questo esito), però mi è piaciuto. Ah, ho apprezzato anche la colonna sonora non originale, che, secondo me, riesce a usare in modo poco scontato e come se si trattasse di pezzi nuovi (non so se mi spiego) brani come “Lovefingers” dei Silver Apples (1968), “Say No Go” dei De La Soul (1989) e quelli dei Suicide (anni Settanta).

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