Buio. Un respiro affannoso squarcia il tenebroso silenzio, regalando allo spettatore i primi secondi di angoscia.
E’ il respiro di Paul Conroy (Ryan Reynolds), un camionista americano, in territorio iracheno, che si è risvegliato rinchiuso in una bara, ad imprecisati metri sotto terra.
A sua disposizione ha solo un cellulare, uno Zippo ed una matita. La sua missione? Sopravvivere!
Non è la prima volta che si vedono scene di persone sepolte vive, ricordiamo ad esempio, Beatrix, sotterrata in Kill Bill, che riesce a liberarsi usando le arti marziali e una buona dose di pazienza.
Ma in Buried tutti i 90′ minuti sono girati all’interno della bara. E non si vedranno mai, mai, facce diverse da quella di Ryan Reynolds (hai detto niente!), ottimo in quest’interpretazione credibilissima.
Peccato che la misera sceneggiatura non riesca ad intrattenere lo spettatore, io stessa ho sbadigliato decine di volte (cosa che succede raramente durante un film), date le cadute di stile che ogni tanto compaiono, abbattendo lo charme che poteva darci questa visione ultra-claustrofobica.
In ogni caso le due domande che sorgono (rigorosamente) allo spettatore non verranno risposte, perciò, tanto vale non sorbirsela per niente questa noia ansiosa, che ha totalmente devastato il mio livello di aspettative (al massimo date un’occhiata ai primi e agli ultimi minuti!).
Noia. Noia a palate e non ripagata dal finale, tutt’altro che soddisfacente, che vi farà storcere il naso indispettiti.
Oltre le note dolenti, vanno però elogiate le emozioni genuine che l’espressività di Reynolds rimanda allo spettatore e le inquadrature, sempre interessanti.
Buono anche il senso di soffocamento che si prova mentre il protagonista interagisce, tramite il cellulare, con il mondo esterno che lo mette eternamente in attesa, facendogli sprecare inutilmente ossigeno e batteria.
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