Recensione su Il sindaco del Rione Sanità

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L’incredibile attualità di Eduardo / 1 Marzo 2020 in Il sindaco del Rione Sanità

(Sette stelline e mezza)

Prima con uno spettacolo dal vivo messo in scena in un piccolo teatro di Napoli e, poi, con questo film, presentato in concorso a Venezia 2019, Mario Martone ha messo mano a un testo di Eduardo De Filippo, Il sindaco del Rione Sanità, scritto tra il 1959 e il 1960.
Nonostante dalla stesura siano trascorsi 60 anni, l’attualità del testo di Eduardo e la capacità di descrivere un contesto (in evoluzione eppure apparentemente immutabile) è davvero impressionante e Martone, coadiuvato alla sceneggiatura dalla moglie Ippolita Di Majo, artisticamente al suo fianco dai tempi di Noi credevamo (2010), e cogliendo gli spunti offerti dall’interprete protagonista, Francesco Di Leva, ne ha colto le raffinate iperboli dall’acre sapore contemporaneo.

Come chiarito nella esauriente conferenza stampa seguita alla proiezione del film a Venezia (reperibile su RaiPlay: https://tinyurl.com/sakwaus), Martone ha voluto rispettare il testo eduardiano, riservandosi di apportare, previo consulto con il figlio del drammaturgo, Luca De Filippo, tre sostanziali e non banali differenze: il contesto, portato dagli anni Sessanta del Novecento ai giorni nostri, l’età anagrafica del protagonista e la parziale modifica del finale.
Rispetto all’opera di Eduardo, dove il protagonista è un ultra sessantenne, nel film Barracano non ha neppure 40 anni, il che permette di identificare Don Antonio con le sempre più giovani leve del mondo della malavita. Per quanto riguarda il finale, invece, gli sceneggiatori hanno eliminato il monologo del dottore, ritenendo che la vicenda di Barracano contenesse in sé già tutto quel che Eduardo voleva comunicare e non necessitasse di quella chiosa intensa ma moraleggiante.

Antonio Barracano (Di Leva) è un uomo che, nel tentativo di mettere ordine in un mondo segnato dal caos, dalla violenza e dalla sopraffazione, prova a scardinare il sistema assodato che lo regola, moralmente corrotto, proponendo alternative che, pure mostrando l’esistenza di strade parallele, scelte, prospettive, ricalcano gli stessi schemi criminali che intendono eliminare.
In un crescente delirio di giustizia (e giustizialismo) che sfocia (anche iconograficamente) in un martirio cristologico (l’ultima cena al Rione Sanità ne è la rappresentazione esplicita), Barracano si sostituisce contemporaneamente al potere giuridico dello Stato e a quello degli uomini che usano indiscriminatamente la violenza per affermare la propria forza in qualsivoglia ambito. Barracano non disdegna l’uso della forza e contempla l’uso di metodi coercitivi e minacciosi, ma ritiene di saperli dosare e convogliare laddove ritiene siano strettamente necessari, per raddrizzare torti, ottenere ascolto, evitare faide e spargimenti di sangue gratuiti.

Barracano è un personaggio polivalente, non lineare, sfaccettato, imprendibile, che suscita in chi lo ascolta e osserva incredulità, spavento e una sorta di ammirazione; è un uomo che, muovendosi in un Eden di propria costruzione che soggiace pienamente alla sua volontà (ha stabilito precise regole per la famiglia, per il dottore, per la governante, per i subalterni), ha la presunzione di comportarsi come una sorta di divinità, capace di dare a proprio piacimento la Vita (ai suoi figli, a quelli degli altri) e la Morte (vedi, le motivazioni addotte per non uccidere il cane che ha ferito gravemente Donna Armida), sorretta da un senso dell’ordine (e del disordine) che travalica quello terreno, contro cui cozza sonoramente (un efficace e ugualmente ambiguo contraltare a Barracano è rappresentato da Arturo Santaniello, per esempio).

Il film è stato girato in pochissimo tempo, indice della complicità e dell’alto grado di affiatamento raggiunto durante la lavorazione teatrale: escludendo Roberto De Francesco, subentrato nel cast a pochi giorni dall’inizio delle riprese, gli attori impiegati da Martone per il film sono gli stessi della messinscena teatrale.
Molto buone, in generale, le prestazioni del gruppo, da Di Leva a Massimiliano Gallo (Santaniello Sr.).

6 commenti

  1. Mr.O / 2 Marzo 2020

    Spesso, però, durante la visione, mi sono chiesto quale fosse il senso di tutta l’operazione, a parte quello di creare un contrasto tra un testo di sessant’anni fa – riportato quasi fedelmente per intero – unito all’estetica post-gomorriana. L’effetto è tanto stridente in alcuni punti quanto affascinante nella maggior parte dei casi, è vero, ma tutta l’opera mi dà la sensazione di non dire niente di interessante sull’oggi.
    Credo che un’operazione simile fu fatta con “Romeo + Juliet”. Credo, perché è un film che ho visto da piccolo e di cui ho solo vaghi ricordi. Essendo lì qualcosa di lontano da me, la mia testa lo accettò con meno resistenze.
    Detto questo, grandi interpretazioni di Di Leva e Gallo; in più sono stato felice di rivedere Adriano Pantaleo, che per me rimarrà sempre uno dei bambini di “Io speriamo che me la cavo”.
    E brava la RAI ad accendere Raiplay con film importanti in esclusiva.

    • Stefania / 2 Marzo 2020

      @mr-o: secondo me, Martone non ha cercato di “creare un contrasto” con il testo di Eduardo. Piuttosto, ne ha voluto ribadire l’attualità. Nel senso che, un atteggiamento come quello di Don Antonio, raccontato 60 anni fa, “funziona” anche ora (in questo senso, il fatto che il testo originale venga usato praticamente pari pari è impressionante e , a parer mio è molto più efficace dell’operazione shakespeariana di Luhrmann, che citi, anche per via del linguaggio: quello di Eduardo si presta a essere usato senza sostanziali modifiche, nonostante il tempo trascorso).
      Dai tempi dell’opera di Eduardo, in termini di violenza camorristica, sembra che non sia cambiato praticamente niente e, come allora, non pare affatto strano che possa esistere un individuo che, ponendosi al di sopra dello Stato e della malavita, sia convinto di poter sfruttare le leggi e i codici (statali e malavitosi, appunto) per riscrivere il mondo a modo suo. L’utopia di Barracano suona nobile, ma è macchiata da un peccato originale: la presunzione di dover rispondere solo a se stesso. Barracano sfida la realtà e la divinità, perché si deifica (come un boss, d’altronde).
      Lo scopo del film l’ho visto qui, nel tentativo di mostrare la contemporaneità del testo.
      Anche a me ha fatto piacere rivedere Pantaleo che, come te, ricordavo per il film della Wertmuller! 🙂

  2. Mr.O / 3 Marzo 2020

    Sìsì, avevo capito che tu ritenessi il contrario: cioè che la storia fosse molto attuale.
    Nonostante abbia sbagliato a non specificarlo, ho risposto alla tua recensione anziché scriverne una proprio perché ritengo, invece, che – se nella totalità dell’opera il tuo ragionamento lo condivido – è nelle singole scene, nei singoli rapporti tra i personaggi, negli aspetti più piccoli delle dinamiche sia della malavita sia familiari che il film, non adattando il testo ai giorni d’oggi, si costringe a non avere una visione completa sull’oggi.
    Il primo esempio scemo che mi viene in mente è il pollo come forma di aggregazione; pollo che mangiano con un trasporto che non appartiene più ai giorni d’oggi.
    Piccole scelte del genere si sommano e rendono il tutto un po’ straniante, almeno per me, nonostante anche per queste cose, io stesso, abbia trovato il film di grande fascino.

    • Stefania / 3 Marzo 2020

      @mr-o: allora, se ho capito bene, ti sembra un po’ anacronistico in alcuni passaggi? Interessante, non ci avevo pensato/fatto caso. Oltre al pollo, mi fai notare un altro di questi dettagli, per favore?

  3. Mr.O / 3 Marzo 2020

    Se per la famiglia Barracano posso accettare una certa rappresentazione “tribale”, dovuta al fatto che rispettano certi codici camorristici che, se sono cambiati, magari sono cambiati di poco, i Santaniello, coi loro dissidi, invece, mi sembrano catapultati da un altro mondo. La loro idea di borghesia è molto lontana da quella che abbiamo noi. Il giovane Santaniello, per esempio, minaccia di denunciare il padre per un reato molto preciso, che ora non mi sovviene, per il semplice fatto che quest’ultimo ha accolto quella russa in casa.
    Ce ne sono sicuramente altre che, purtroppo, in questo momento, non mi sovvengono

  4. Stefania / 4 Marzo 2020

    @mr-o: ti confesso che questo dettaglio della minaccia non lo ricordo proprio. Ho provato a cercarlo nel film, controllando le scene in cui c’è Santaniello, ma non l’ho trovato, avrò sicuramente saltato la sequenza-chiave. A parte questo, però, l’idea di borghesia di questi personaggi, che poni in evidenza, non mi è estranea. Sarà che sono cresciuta in un contesto in cui, ancora oggi, si ragiona a quella maniera, però non mi sembra un approccio improbabile (nonostante possa sembrare, correttamente, “fuori tempo”). Ovviamente, il fatto che a me certe cose suonino familiari non esclude che, nel complesso, possano essere anacronistiche, come dici.

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