Recensione su La casa di Jack

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Hit the road Jack / 5 Marzo 2019 in La casa di Jack

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

L’ultimo lavoro di Lars Von Trier è un debordante calderone della sua poetica, ma anche del suo punto di vista sulla vita. Più che un capolavoro, un testamento artistico. Cos’è l’arte? Il regista lo spiega attraverso le gesta di un serial killer compiaciuto, egocentrico, sofisticato e pieno di ossessioni. Un predatore che spera inconsciamente di diventare preda. In Jack è facilissimo riconoscere Lars, che con certe sue affermazioni provocatorie (tra l’altro ribadite nella pellicola) sembra quasi il Jack-bambino che spera di essere trovato giocando a nascondino. Dare una valutazione a La casa di Jack è complicatissimo. È un’opera satura e debordante che funziona bene quando esplora la psiche di Jack/Lars, con tanto di innesti in stile video-arte commentati dalle voci narranti; e funziona alla perfezione quando ci mostra le atrocità del protagonista (adulto e bambino). L’opera perde però – purtoppo – tutta la sua forza narrativa e smette di stuzzicare il cervello quando si fossilizza sugli spiegoni, risultando inutilmente prolissa, soprattutto nel finale. L’idea che Von Trier abbia scelto di chiudere il film con una pesante, pacchiana e lunga allegoria, fa pensare ad un’ulteriore provocazione nei confronti dello spettatore, confermata dallo scanzonato rhythm and blues finale di Hit the road Jack, che sembra messo lì appositamente per distruggere l’atmosfera infernale. Quel che resta è l’amarezza di aver assistito ad una lunga presa in giro del diabolico Lars. Il regista gioca con gli spettatori, li tormanta, quasi senza rendersene conto, proprio come Jack fa con le sue prede, ma il risultato funziona solo in parte. Von Trier va lungo regalando allo spettatore uno dei finali più indigesti della storia del cinema. Un vero peccato, viste le ottime premesse. Poteva davvero essere il suo capolavoro

6 commenti

  1. Stefania / 5 Marzo 2019

    Il finale, proprio la scena finale intendo, non ha convinto neppure me.
    P.s.: bentornato! ^_^

  2. michidark / 5 Marzo 2019

    Io senza quel finale (intendo la parte dantesca, tutta) avrei promosso il film a pieni voti. Gli ultimi 15/20 minuti sono davvero di troppo. Di fatto non aggiungono nulla, sono solo un vezzo registico (l’ennesimo) per ribadire il narcisismo di Jack (e di Lars). Von Trier dovrebbe trovare un fidato collaboratore (sceneggiatore?) che lo sappia tenere a freno

    • Stefania / 5 Marzo 2019

      “Von Trier dovrebbe trovare un fidato collaboratore (sceneggiatore?) che lo sappia tenere a freno”: sono d’accordo. Ti confesso che, fino alla fine, ho sperato che SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER la parentesi dantesca avrebbe portato a una “fuga dall’inferno” di Jack. Nel complesso, la caduta definitiva di Jack ha senso (la dannazione del killer/regista), però, a quel punto, mi aspettavo un sardonico colpo di teatro.

  3. CLEMENTINE / 16 Marzo 2019

    Il film mi è sembrata un’accozzaglia di “cose che piacciono a Lars” e il finale, chissà perché, mi ha ricordato quando, alle materne, alcuni compagni non riuscivano ad inserire le figure negli appositi spazi e si finiva col trovare cubi incastrati nello spazio per le sfere e così via. Per quanto riguarda la caduta definitiva di Jack (e mi riallaccio a quello che scrive Stefania), io credo che abbia lasciato allo spettatore il giudizio: il fuoco, in negativo, diventa bianco. Forse che la dannazione di Jack in realtà sia il cammino della luce?

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