La casa di Jack

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La casa di Jack

Jack è un killer. Ed è molto, molto intelligente. Nel corso di 12 anni di delitti, affina progressivamente le sue capacità.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: The House That Jack Built
Attori principali: Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Riley Keough, Jeremy Davies, Jack McKenzie, Mathias Hjelm, Ed Speleers, Emil Tholstrup, Marijana Janković, Carina Skenhede, Rocco Day, Cohen Day, Robert Jezek, Osy Ikhile, Christian Arnold, Yoo Ji-tae, Johannes Bah Kuhnke, Jerker Fahlström, David Bailie, Robert G. Slade, Vasilije Mujka, Jesper Tønnes, Glenn Gould, Adolf Hitler, Idi Amin, Benito Mussolini, Mostra tutti

Regia: Lars von Trier
Sceneggiatura/Autore: Lars von Trier
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Produttore: Peter Aalbæk Jensen, Louise Vesth, Piv Bernth, Tomas Eskilsson, Thomas Gammeltoft, Leonid Ogaryov, Charlotte Pedersen
Produzione: Danimarca, Francia, Germania, Svezia
Genere: Drammatico, Thriller, Horror
Durata: 151 minuti

Dove vedere in streaming La casa di Jack

La cassa di Jack (premessa) / 2 Febbraio 2022 in La casa di Jack

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

“La casa di Jack” non è una pellicola, se non all’apparenza, ma un brandello sanguinante che il regista strappa alla realtà. Come giudicare la realtà che è quello che è? Come valutare il regista che pare compiaciuto, se non attratto, dal Male in queste forme estreme, ripugnanti? Certo, Lars Von Trier esibisce e denuncia l’orrore della storia “umana” con il suo ammasso di corpi martoriati, putrefatti, perché la morte è in ogni piega della vita, ma si respira alcunché di morboso, di patologico. E’ l’estetica dell’orrido a trionfare, incardinata in cinque episodi che ricordano i cinque atti della tragedia antica. Jack (Lars) – giustamente Stefania nota il parallelismo fonico e numerico tra i due nomi, come Samsa è un po’ Kafka, nella “Metamorfosi” – è novello Dante la cui catabasi è, però, quella di un dannato, non di un pellegrino. Psicopompo è una figura che ricorda Virgilio.

Per un vertiginoso approfondimento del tema del Male, consiglio di leggere il romanzo “I confini dell’infinito” (vol. I e II)

L’isotopia dell’educazione

Ho riflettuto sull’educazione che i genitori, gli insegnanti, in genere gli adulti impartiscono ai piccoli. Educazione o diseducazione? Io direi che educare, che vale letteralmente, far crescere è molto difficile, se non impossibile: nel 99 per cento dei casi gli educatori falliscono, perché anche solo coniugare la severità con l’indulgenza, la fermezza con la comprensione è impresa ardua. Consideriamo poi gli innumerevoli fattori che influiscono sull’equilibrio psicologico, affettivo e cognitivo del bambino: allevare un figlio in modo saggio e misurato è un po’ come ottenere la “classica quadratura” del cerchio. “Jack”, In realtà, più che un lungometraggio, è una scheggia infuocata nella carne, ma, a parte ciò… accenno al fatto che il protagonista è un omicida seriale tra i più feroci e sadici che un’immaginazione morbosa possa concepire o che la cronaca nera possa descrivere. Naturalmente questo brutale assassino finisce all’Inferno: credo che il regista creda veramente all’Inferno. Io non sono di questo parere, tuttavia non posso escludere che davvero esista una dimensione dove i reprobi sono condannati a soffrire torture indicibili in saecula saeculorum, benché tale possibilità cozzi con l’idea di un Dio che è Amore infinito ed incondizionato. Lars Von Trier – e noi con lui – ci chiediamo: il Male che domina Jack e che lo istiga a perpetrare innominabili sevizie ed omicidi sanguinari, da che cosa dipende? Dal libero arbitrio? Dall’educazione ricevuta? Da altri fattori? O da un concorso di varie circostanze? Mi pare significativo che Jack, ingegnere che, però, avrebbe voluto diventare architetto, dedichi il tempo, tra un massacro e l’altro, a costruirsi una casa, senza mai essere soddisfatto né dei progetti né dell’edificio che comincia ad erigere tanto è vero che ogni volta fa radere al suolo le parti della casa che ha cominciato a costruire.

Ecco! La casa! La casa è anche famiglia; in inglese “house”, casa, e “home”, casa intensa come famiglia, calore familiare, hanno la stessa radice. A Jack è mancata una famiglia che lo amasse, che lo circondasse di affetto, che valorizzasse il suo talento e assecondasse le sue inclinazioni: egli è diventato ingegnere, per volontà dei genitori, pur preferendo l’architettura e, più, in generale l’arte. Sarebbero dunque responsabili i genitori della sua ferocia, eppure è condotto all’Inferno dove Virgilio gli mostra i Campi elisi, una plaga luminosa dove alcuni agricoltori con gesti lenti e solenni mietono il grano. In quella, sul viso del dannato scorre un’amara lacrima: non è rimorso per i suoi mostruosi crimini, ma il rimpianto per un luogo ed una condizione da cui sarà escluso per sempre, perché l’Inferno “etterno dura”.

Pare che il Male assoluto possa essere bilanciato, anche se tardi, solo con le pene infernali, anche se Jack non è del tutto responsabile delle sue scelleratezze. D’altronde non potrebbe aver ereditato questa propensione violenta dai suoi antenati, visto che il DNA contiene una memoria genetica? Sappiamo che gli embrioni sognano: come e che cosa sognano, se non attraverso contenuti archiviati, sedimentati nel DNA silente simile all’“inconscio collettivo” di Jung? Jack è ancora colpevole, sono ancora colpevoli i genitori che non l’hanno saputo allevare? No e sì: no, perché al DNA non si comanda, perché l’ambiente plasma e condiziona; sì, perché, direbbe Dante, ha “sommesso la ragione al talento”, ossia non ha usato la razionalità e la coscienza per dominare gli impulsi distruttivi, trincerandosi dietro alibi e argomenti capziosi sull’assassinio come “arte”. Siamo dunque colpevoli o innocenti? Colpevoli in che misura? Innocenti in che misura? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che il buio dell’Inferno – le prime battute del
dialogo tra Jack e Virgilio vengono da un’inquadratura totalmente nera – potrebbe non essere solo una metafora o un espediente cinematografico.

L’isotopia del corpo

Un tema scottante del film “La casa di Jack” è la netta distinzione, di ascendenza gnostica, tra corpo ed anima. Nella Weltanschauung del protagonista tale dicotomia assume un valore per lo più auto-assolutorio: egli ha infierito nei modi più crudeli e sadici contro i corpi, straziandoli, ma ha persino blandito l’intima natura delle sue vittime, quando le ha strette nel suo affettuoso, benché mortale abbraccio. La materia – afferma Jack – è in sé sempre corrotta: essa è putrefazione, disfacimento. Anche ciò che reputiamo apprezzabile, ad esempio, un vino generoso, deriva dalle muffe o dalla decomposizione. Quindi martoriare i corpi non è poi così grave, a differenza di come potrebbe sembrare, perché la stessa natura – non a caso Schopenauer la definisce “mortura” – è tutta tabe, un ripugnante verminaio. Eppure egli è condannato all’Inferno, perché evidentemente la materia non è solo putrefazione, essendo, in una certa misura, partecipe dello spirito e della sua luce.

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Follia omicida / 23 Aprile 2019 in La casa di Jack

Jack e la sua vita da serial killer.
La sua confessione e il lato onirico e direi dantesco per quanto riguarda la parte finale del film.
Mi aspettavo molta più violenza (non che non ce ne sia…). Ma non per questo sono rimasto deluso la progetto del regista che continua il filone dei suoi film da confessionale del protagonista.
Lungo ma non pesante e anche le scene tagliate non sono poi così esagerate da essere censurate, a mio avviso.
Matt Dillon fantastico. Una maschera di follia che risulta perfetta.
Complimenti.
Ad maiora!

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Hit the road Jack / 5 Marzo 2019 in La casa di Jack

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

L’ultimo lavoro di Lars Von Trier è un debordante calderone della sua poetica, ma anche del suo punto di vista sulla vita. Più che un capolavoro, un testamento artistico. Cos’è l’arte? Il regista lo spiega attraverso le gesta di un serial killer compiaciuto, egocentrico, sofisticato e pieno di ossessioni. Un predatore che spera inconsciamente di diventare preda. In Jack è facilissimo riconoscere Lars, che con certe sue affermazioni provocatorie (tra l’altro ribadite nella pellicola) sembra quasi il Jack-bambino che spera di essere trovato giocando a nascondino. Dare una valutazione a La casa di Jack è complicatissimo. È un’opera satura e debordante che funziona bene quando esplora la psiche di Jack/Lars, con tanto di innesti in stile video-arte commentati dalle voci narranti; e funziona alla perfezione quando ci mostra le atrocità del protagonista (adulto e bambino). L’opera perde però – purtoppo – tutta la sua forza narrativa e smette di stuzzicare il cervello quando si fossilizza sugli spiegoni, risultando inutilmente prolissa, soprattutto nel finale. L’idea che Von Trier abbia scelto di chiudere il film con una pesante, pacchiana e lunga allegoria, fa pensare ad un’ulteriore provocazione nei confronti dello spettatore, confermata dallo scanzonato rhythm and blues finale di Hit the road Jack, che sembra messo lì appositamente per distruggere l’atmosfera infernale. Quel che resta è l’amarezza di aver assistito ad una lunga presa in giro del diabolico Lars. Il regista gioca con gli spettatori, li tormanta, quasi senza rendersene conto, proprio come Jack fa con le sue prede, ma il risultato funziona solo in parte. Von Trier va lungo regalando allo spettatore uno dei finali più indigesti della storia del cinema. Un vero peccato, viste le ottime premesse. Poteva davvero essere il suo capolavoro

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Arte criminale / 3 Marzo 2019 in La casa di Jack

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Lunghe riflessioni sparse)

La casa di Jack è arrivato a cinque anni dal precedente film di Lars Von trier, Nymphomaniac (2013), in cui il tema del comportamento compulsivo e seriale (seppure non criminale) era già stato affrontato dal regista danese. Inizialmente, La casa di Jack era stato pensato per diventare una serie tv. Con il trascorrere del tempo, il nuovo progetto di Von Trier ha assunto la forma di un film, grazie al quale il regista è riuscito perfino a tornare a Cannes (non in concorso), dopo la nota epurazione del 2011 dovuta alle folli esternazioni che gli causarono l’epiteto di “persona non gradita” e l’allontanamento dalla kermesse.
Von Trier è un individuo complicato, duale e contraddittorio, nei confronti del quale nutro sentimenti contrastanti, ammirazione e repulsione. Il suo antisemitismo e la sua sgradevolezza dovrebbero tenermi lontana dai suoi film, eppure li guardo sempre come un topo guarda un serpente.
Come dice Virgilio (Bruno Ganz) ne La casa di Jack, benché ciò che viene raccontato da Von Trier non sia esattamente una novità (e possa non essere condivisibile), offre notevoli spunti su cui riflettere.

Il nuovo film di Von Trier riprende lo schema di Nymphomaniac anche per quel che riguarda la forma-memoir/confessione e, dal punto di vista della struttura narrativa, per via della scansione in capitoli, richiama altri suoi lavori precedenti (i primi a cui mi viene da pensare: Le onde del destino, Dogville, Melancholia). Eppure, è un film che “non si ripete”, che stupisce per la freschezza (!) e la lucidità (esaltata dall’apparato esemplificativo di natura didattica) con cui Von Trier espone tesi e antitesi.

L’escalation di violenza perpetrata da Jack (Matt Dillon, estremamente efficace) è esasperata ed esasperante, ma rispecchia bene quella che ritengo sia la tesi di partenza del film: quanto e come può essere tenuta a bada un’ossessione? E, soprattutto, può essere davvero controllata? L’ossessione di Jack è l’omicidio. Quella di Lars è fare cinema.
Il prodotto finale può essere esecrabile, può suscitare disprezzo, può non essere apprezzato, ma il creatore (Jack o Lars, non a caso – o forse sì- nomi composti da 4 lettere) ha dato sfogo al proprio narcisismo, a un impeto intimo che agognava di liberarsi.

Al cinema, ho visto la versione “tagliata” e doppiata del film (approvata da Von Trier, ma a cui lui non ha partecipato) e non ho idea di quali siano le scene in più contenute nella versione integrale (anche se immagino possa trattarsi, per esempio, di quelle più sadiche -se possibile- legate al quarto incidente).

Come le vittime di un sadico serial killer, il pubblico di Von Trier si domanda: quale sarà la prossima fantasia estrema di questo autore? Sarò in grado di sopportarla, di sopravviverle?
La casa di Jack è un film ambizioso, in cui Von Trier prova a rappresentare la sua visione del mondo, della vita, dell’Arte, attraverso una posizione che contempla anche l’orrido, lo scorretto, il degrado morale, quella che, nel film, Jack definisce “muffa nobile”. Dal letame, direbbe qualcun altro, nascono i fiori. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’albero sotto le cui fronde si rilassava Goethe è stato inglobato dal campo di sterminio nazista di Buchenwald, spiega Jack. Bellezza e orrore sono aspetti inscindibili eppure dicotomici della vita, spiega Lars.
L’ingegnere scrive la musica, l’architetto la suona. Jack è l’uno ma vorrebbe essere l’altro: vorrebbe coniugare brutalismo (vedi, la casa, incompiuta, in cemento armato) e grazia, senso pratico ed estetico (il vetrocemento della casa in mattoni è funzionale a soddisfare esigenze statiche e rapporti illuminanti, però in quanto a gradevolezza…), ma, fino a che non prende pienamente coscienza di sé (fino a che, cioè, non vede la reale complessità di un piano criminale che non è mai stato tale finché Jack non viene raggiunto dalla polizia) non è in grado di mutare definitivamente, accogliendo in sé la visionarietà dell’artista.

La materia è la chiave del cambio di passo di Jack e coincide con la sua caduta (come Adamo ed Eva, Jack vede e si perde).
La parentesi onirica del film ambientata in un Inferno di ordine dantesco si inscrive bene nell’architettura (non a caso) del film: la dannazione di Jack è la stessa di Lars. Dato sfogo alla propria necessità/alle proprie “voglie”, ne paga le conseguenze in eterno.
Ma questa necessità è insita nel protagonista (quindi, nel regista), o si è sviluppata nel tempo, per cause contingenti? Il piccolo Jack è nato cattivo e sadico, o lo è diventato? (perché, fin da bambino, si nasconde pur desiderando di essere trovato? Torna il sentimento dell’umiliazione di Nymphomaniac, di Le onde del destino, di Dogville…)
Von Trier sembra suggerire che il senso dell’Arte è in nuce in ciascun individuo, ma anche che ha diversi gradi di espressione, dall’estetica classica, simbolo di grazia ed equilibrio, al crimine più efferato, disordinato, sporco (tutto ciò che, inizialmente, Jack non è). Non è un caso che gli omicidi commessi dal protagonista siano sempre più articolati, complessi e pianificati, eppure più perversi. Con evidenti rimandi al cinema di genere (da Maniac di William Lustig a Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme) e rispolverando il suo esordio cinematografico ufficiale (L’elemento del crimine, 1984), Von Trier eleva l’atto criminale a espressione artistica e affianca la sua spregiudicatezza cinematografica e narrativa proprio a un’opera criminale.

Adolf Loos, teorico dell’architettura e architetto egli stesso, scriveva: “La casa deve piacere a tutti. A differenza dell’opera d’arte, che non ha bisogno di piacere a nessuno. L’opera d’arte è una faccenda privata dell’artista. La casa no. L’opera d’arte vien messa al mondo senza che ce ne sia bisogno. La casa invece soddisfa un bisogno. (…) L’architettura suscita nell’uomo degli stati d’animo. Il compito dell’architetto è dunque di precisare lo stato d’animo” (Loos, in Parole nel vuoto, ed. Adelphi, 1996, p.253-255).
Toh: si parla proprio di case… Von Trier sembra sposare pienamente questi assunti, dimostrando che la casa di corpi di Jack è espressione di uno stato d’animo del protagonista analogo al suo, un regista che svela al mondo “una faccenda privata” con modi indicibili, scandalosi.

Così, dopo Madre! di Aronofsky e Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, ecco che m’imbatto in una nuova declinazione cinematografica, parimenti complessa, repulsiva ma ammaliante, forse non totalmente compiuta, del concetto di produzione artistica, di paternità dell’arte e di rapporto dell’artista con il pubblico. Trovo molto interessante constatare che questi argomenti siano al centro della speculazione (se non del tormento) di alcuni fra gli autori più originali attualmente attivi nel panorama internazionale.

Domanda con SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER: non ho capito a quale girone infernale era effettivamente destinato Jack. Giunti in fondo all’imbuto infernale, il centro della Terra (dove, secondo La Divina Commedia di Dante, dovrebbe trovarsi Lucifero), Virgilio dice che, in realtà, Jack dovrebbe essere condotto due gironi più in su. Non ricordo come sia fatto l’Inferno, cerco su Google e vedo che due cerchi più su rispetto a Lucifero c’è l’ottavo cerchio, quello dei fraudolenti. Virgilio dice a Jack che, in effetti, è strano sia finito lì. Ma a me sembra davvero strano che Von Trier abbia scelto di metterlo lì: Jack un fraudolento? Perché? Piuttosto, non dovrebbe trovarsi tra i violenti (VII cerchio)? Ho capito male, ho fatto male i conti, c’è qualche simbolismo che non ho colto? Illuminatemi 🙂

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LA CASA DI LARS / 2 Marzo 2019 in La casa di Jack

Come si commenta un film di Von Trier? Da dove si comincia? Vabbè…visto che si parla della casa che Jack costruì partiamo dalle fondamenta.

FONDAMENTA
Iniziamo col dire che si tratta del quindicesimo lungometraggio del controverso regista danese, il quale sfodera un opera personale quanto facilmente intelligibile da chiunque.
Questo film ha un legame fortissimo con la precedente opera del suo creatore. Ci sono diversi punti di contatto con “Nymphomaniac”. Innanzitutto il rapporto con la carne. Entrambi i protagonisti traggono piacere dalla carne. Se in “Nymphomaniac” la ninfomane Joe bramava piacere dal contatto con la propria carne, ne “la casa di Jack” lo squartatore Jack ricava godimento dal dilaniamento del corpo altrui. Un curioso parallelismo che trovo decisamente enorme per essere casuale e le analogie non sono tutte qui. Un altro aspetto similare è che in entrambi i film i protagonisti raccontato degli episodi della loro vita a qualcuno. Un ascoltatore attento ed incline al ragionamento. Che ascolta senza condannare e giudicare perentoriamente. Questa dinamica tra confessore e confessato ricorda tanto una seduta dallo psicanalista. E chi è che si racconta attraverso i suoi alter ego? Ovvio…il problematico zio Lars e la sua casa piena di ossessioni.

STRUTTURA PORTANTE
Come dicevo “la casa di Jack” è il film più facile da digerire di quelli fin qui proposti da Von Trier (almeno di quelli che ho visto io). E’ ricco di azione e umorismo tanto da renderlo il più commerciale della sua filmografia. E’ talmente pervaso di umorismo da farmi pensare che il danesone stia uscendo dalla depressione (dio ce ne scampi) che notoriamente lo ispira e lo muove. Questa volta l’attenzione non è focalizzata sulla fatica di vivere ma sulla ricerca della felicità, seppur breve, che ci affanniamo a cercare in qualcosa per cui siamo portati. Nel caso di Jack l’omicidio. Nel caso di Lars fare cinema.

TRAMEZZI
Ovviamente la storia viene portata avanti con il solito ritmo ponderatamente lento così da rendere estremamente fibrillanti i momenti più concitati e violenti della vicenda. Le divagazioni e le svisate sono sempre dietro l’angolo e possono piacere e non piacere.

IMPIANTISTICA
Dal punto di vista tecnico ho trovato come sempre fastidioso l’eccessivo cinetismo della camera a mano. Anche la qualità del digitale, estremamente rumoroso nelle scene più buie, mi ha colpito sfavorevolmente. Sorprendenti le scene plastiche.
Bella prova d’attore per Dillon. Bruno Ganz si congeda da questo mondo con un ruolo quanto mai emblematico, una felice e toccante chiusura di carriera.

TETTO
In definitiva un ottimo film che rispecchia in toto lo spirito del proprio architetto.

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