Recensione su To Rome With Love

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Sarebbe un 7,5 a patto che… / 21 Aprile 2012 in To Rome With Love

Film a episodi: 2 ingenui sposini di provincia rischiano di perdersi sentimentalmente, inghiottiti nella capitale; triangolo amoroso di giovani americani; l’uomo più comune del mondo diventa famoso; incontro/scontro tra futuri consuoceri italiani e USA.
Carino il primo episodio, come i due protagonisti, affiancati da una Penelope Cruz scosciata femme fatale e un Antonio Albanese in insolite vesti di piacione; il più debole dei quattro il secondo, sia come sceneggiatura, MOLTO classica, sia come interpretazione, con Jesse Eisemberg e Ellen Page a cui manca sempre un “quid” e lontani dai fasti di “The Social Network” e “Juno”, sollevato però da un divertente Alec Baldwin, stile Bogart in “Provaci ancora, Sam” (con Allen che omaggia se stesso); Benigni-centrico il terzo, in cui il comico toscano è protagonista indiscusso come fosse illuminato da un occhio di bue: niente da dire, piace in proporzione a quanto piace lui; per me il migliore l’ultimo, grazie ad Allen (solito nevrotico balbettante e sarcastico) e alla lirica (“Pagliacci” di Leoncavallo), anche se con qualche idea poco sfruttata (surreale quanto basta quella principale)
Il film può essere visto sotto due chiavi di lettura. 1) In modo realistico, e in questo caso il pensiero più frequente dello spettatore sarà “sì, che cazzata” ogni 3 minuti; 2) In modo fiabesco, accettando il patto narrativo (uno a episodio) che porta a vicende surreali e di conseguenza accettare il film per ciò che è: una pellicola dove contano più i sentimenti e le immagini dei fatti, e dove Roma viene omaggiata dal vecchio Woody, turista appassionato e sincero, che la sfrutta in modo non cartolinesco e piatto ma con rispetto e ammirazione per l’arte, la storia e la cultura. Lo si può quindi considerare un buon/pessimo film, preso per quello che è comunque una commedia simpatica che non vede il popolo italico come un branco di mangia-spaghetti che suonano il mandolino (tipica visione americana), il che è già qualcosa.
Nota finale: azzeccato il nuovo doppiaggio di Allen da parte di Leo Gullotta, che sostituisce dignitosamente lo scomparso Oreste Lionello.

3 commenti

  1. Stefania / 21 Aprile 2012

    Uhm.
    Personalmente, ho colto tutti gli stereotipi possibili ed immaginabili, compreso il fatto che ci piace stare a tavola 😉
    C’è nervosismo in casa e la brava mamma cosa suggerisce? “Cibo!”

    Non so, nel complesso, io sono rimasta molto delusa 🙁

  2. mat91 / 22 Aprile 2012

    Personalmente li ho trovati meno “pesanti” data la surrealità del film, se fosse stato un dramma intenso o comunque con una forte connotazione realistica (dico Clint Eastwood stile “Mystic River”, primo che mi viene in mente ma ci sarebbero molti altri esempi) allora li avrei trovati peggiori e molto irritanti. Se vengono usati, come secondo me è avvenuto qui, per dare una nota di colore “ingenua” al film, allora penso che non siano offensivi e ci possano anche stare. Mi fa piacere che anche tu abbia apprezzato il doppiaggio di Gullotta 🙂

  3. ego88 / 16 Giugno 2012

    Per quasi tutto il primo tempo del film ho pensato: “ma che diamine di film ha fatto woody? Che grande cavolata, é pessimo, peggio di una fiction tv…”
    Poi ho capito che dovevo cambiare chiave di lettura e mi é piaciuto molto.
    Secondo me, tutte le storie hanno un tema comune: il contrasto tra la vita eccezionale, emozionante e travolgente, che ognuno di noi più o meno inconsciamente desidera (o per lo meno non disprezza certamente!) e una vita più piatta ma stabile e sicura, che la maggior parte di noi decide di vivere.
    I personaggi si ritrovano in situazioni al di fuori della routine, assurde e surreali (e qui il mio errore iniziale di pensare: “ma daiii!!!”).
    Benigni diventa famoso senza fare niente, provando l’ebrezza di essere al centro dell’attenzione di tutti senza il minimo sforzo (chi non ha mai pensato a come sarebbe essere una star?). Eisenberg si lascia lentamente andare, innamorandosi (o per lo meno infatuandosi) dell’amica affascinante e spigliata della sua ragazza, in grado di turbarlo e confonderlo in una maniera piacevolmente destabilizzante. I due sposini vengono travolti da eventi straordinari (nel senso letterale del termine) e anch’essi alla fine vi si abbandonano con una certa leggerezza, seppure con molti scrupoli iniziali. Lei si ritrova a pranzare con l’attore dei suoi sogni, per poi finire in una camera d’albergo; ma proprio nel momento in cui decide che é meglio un rimorso che un rimpianto arriva il ladruncolo Scamarcio a scombussolare gli eventi. Ma la sposina ormai si é lasciata andare e pur di vivere l’adulterio finisce a letto con Scamarcio.
    Nel frattempo anche lo sposo vive il suo adulterio, con una prostitua (Cruz), forse con un po’ di senso di colpa ma probabilmente senza rimorsi.
    Infine c’é Woody, che asseconda anche lui i proprio desideri, rendendo celebre il padre del genero, dotato di una fantastica voce. Il cantante verrà messo a proprio agio cantando sotto la doccia, anche in pubblico.
    Insomma, nel fim si realizzano tutti i desideri, più o meno inconsci. Si verificano tutte quelle situazioni che forse si vorrebbero vivere. Da una parte mi é sembrata un’esalatazione delle vite vissute intensamente, anche con una certa leggerezza. Vite vivaci, emozionanti, piene, in contrasto con la vita piatta di tutti i giorni (Benigni che inizialmente é un romano qualunque, Eisenberg studente che già vive la sua routine con la sua ragazza, i due sposini fedeli e canonici, il cantante che non da spazio al suo talento perchè é solo un suo diletto personale).
    Woody regala a ciascun personaggio la possibilità di vivere qualcosa di “speciale”.
    Anche se poi il messaggio che lascia é un altro. Benigni con un sospiro di sollievo torna ad essere l’uomo qualunque di sempre, Eisenberg resta deluso dalla nuova storia ancora prima di iniziarla, i due sposini si ritrovano (in senso fisico e non) e il cantate sembra non voglia andare oltre, in quanto già soddisfatto di aver dimostrato che é bravo.
    Insomma, sembra che Woody ci voglia far notare che le vite “stra-ordinarie” sono sicuramente più emozionanti, ma anche più difficili da gestire, più faticose, più sballottanti e alla fine si preferisce ritornare alla stabilità, alla semplicità, alle certezze delle vite “normali”, anche se magari un po’ più piatte.
    Non mi é sembrato ci fosse un giudizio finale su quale sia il modo migliore di vivere, ma solo una constatazione di questo contrasto esistente tra ordinario e straordinario.
    La coralità del film fa capire che la “straordinarietà” può esistere nella vita di chiunque.

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