Recensione su Once

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Gente di Dublino / 14 Luglio 2014 in Once

Quando non è impegnato a guadagnarsi da vivere riparando gli aspirapolvere nel negozio gestito dal padre, un ragazzo appassionato di musica (Glen Hansard), dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, sfoga la sua rabbia suonando la chitarra per le strade di Dublino. Il suo sogno è quello di trasferirsi a Londra, registrare un album e diventare un musicista professionista: un giorno incontra una ragazza straniera (Markéta Irglová), sposata e madre di una bambina, che proviene dalla Repubblica Ceca e che si mantiene vendendo fiori per le vie della città. Lei adora suonare il pianoforte, e i due decidono di unire le forze per comporre qualcosa insieme.
“Once” è un piccolo e mediocre film che mostra una Dublino popolata da persone povere e modeste che si arrangiano come possono e che per tirare avanti svolgono anche i lavori più umili. Questo è senza dubbio l’unico aspetto interessante del film, che per il resto delude e annoia. Il tono generale è dimesso, il ritmo troppo lento, e la messa in scena è di una povertà che definire imbarazzante è poco (guardandolo, si vede chiaramente che è stato girato con un budget irrisorio). Le canzoni, poi, sono francamente troppe, e dopo un po’ non se ne può più di sentirle, anche perché i testi sono infarciti di frasi scontate e ovvie.
Più che Stuart Murdoch e Isobel Campbell, o Damien Rice e Lisa Hannigan, i due protagonisti, con le loro canzoncine banalotte, sembrano Al Bano e Romina Power. Il che è tutto dire. Il volenteroso John Carney in cabina di regia ce la mette tutta per confezionare una pellicola gradevole e dignitosa, ma la buona volontà non basta per fare un bel film, e nonostante il regista riesca ad evitare la melassa, “Once” sconta una sceneggiatura (dello stesso Carney) esile e abborracciata. La storia funziona per un quarto d’ora, ma poi con il passare dei minuti subentra la monotonia e gli sbadigli si sprecano.
Malgrado l’impegno del regista e degli attori, il risultato finale non arriva nemmeno alla sufficienza. “Once” non è una ciofeca come “(500) giorni insieme” di Marc Webb, è soltanto un filmetto innocuo e impalpabile che non lascia nessuna traccia nella memoria dello spettatore. Gli estimatori, comunque, non mancano, tanto che alcuni lo considerano un piccolo cult. Sorprendentemente, perfino un grande regista come Steven Spielberg ha speso parole di elogio nei confronti di quest’operina fragile e inconsistente. “Falling Slowly” di Glen Hansard e Markéta Irglová, nel 2008, ha vinto l’Oscar come Miglior Canzone.

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