Recensione su Il capitale umano

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8 Febbraio 2014

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il capitale umano è un film, diretto da Paolo Virzì, tratto da un romanzo americano ambientato in Connecticut. Dal Connecticut ci spostiamo a Milano anzi ci spostiamo in “Briansa”.
Brianza, terra celtica terra padana terra d’apparenze.

La vicenda comincia una notte, è il Natale 2010, e in una scuola privata si è appena concluso un gran gala pacchiano al punto giusto. Si ostenta, si ostenta bene. Un padre di famiglia, uno dei camerieri della serata, sta tornando a casa pedalando sulla sua bicicletta.
Viene investito da un Suv.

L’evento serve da sviluppo alla trama.
Il regista si focalizza su due famiglie, la famiglia Bernaschi e quella degli Ossola.
Il capofamiglia degli Ossola, Dino, è un venditore immobiliare che nel suo piccolo fa una bella vita. Il punto è che vorrebbe un salto di qualità, vorrebbe essere ciò che non è, e questo sarà (quasi)fatale. Dino Ossola, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, è un pezzente. La sua non è ambizione, la sua è noncuranza, è menefreghismo, è stupidità.
Gioca un gioco che non può permettersi ed è disposto a fare i debiti pur di apparire. Vorrebbe ostentare, essere un “big” e gli basta sedere allo stesso tavolo dello speculatore Bernaschi per sentirsi importante. Vuole un pezzettino di fama, potere, denaro (quello vero, quello a dieci cifre). Vuole un pezzo della vita di Bernaschi.
Bernaschi, d’altro canto, è uno speculatore, uno squalo delle finanze. Fa una vita da sultano.
E’ imbottito di cosmopolitismo ma è profondamente razzista e classista.
Se in una mano abbiamo due uomini pronti all’autodistruzione pur di mantenere il proprio status, nell’altra abbiamo le rispettive mogli e figli.
Dino ha una figlia, Serena, interpretata dal nuovo volto del grande schermo Matilde Gioli, la quale sembrerebbe intendersela con il figlio di Giovanni Bernaschi, un certo Massimiliano il quale oltre ad avermi rubato il nome non sa neppure recitare (l’unico vero difetto del film è questo, un Lapo Elkann roscio fastidiosissimo), ed è sposato con una dolcissima quanto ignara Valeria Golino, la quale non sospetta gli impicci economici del marito. Giovanni invece ha una moglie-oggetto, una bionda remissiva che passa le giornate andando a fare compere e chiedendo agli ospiti se preferiscano una o due zollette di zucchero nel caffè. E’ una prostituta e non se ne rende conto
o forse fa finta di non rendersene conto. Il loro non è un matrimonio, è un legame basato sulla prostituzione legalizzata.

La caratterizzazione dei personaggi è qualcosa di superbo, trama a parte è lo stile narrativo ad episodi ad avermi colpito.
Uno stile già visto ma tremendamente efficace infatti tutti gli spettatori nella sala, la mia ragazza ed io, erano presi dalla velocità nei ritmi e dalle atmosfere amare della pellicola.
E’ stata una bella sorpresa, è un film che mi è piaciuto pur non condividendo una parte della fine.
Praticamente un personaggio è in galera poiché si scopre che ha investito il ciclista e con la scena messa in quel modo quasi fa dispiacere allo spettatore che il tipo/la tipa sia finito/a in galera.
Ricordiamoci che ha investito una persona.
Poi fateci caso si ricade sempre sulla tipa che lascia il ricco figli di papà per mettersi con il morto di fame problematico.

Voglio dire “Lapo dai capelli rossi” doveva essere lasciato a prescindere ma non posso credere che in tutta la Brianza l’unica alternativa a “Lapo” era Bob Marley di noialtri.

Se da un lato critico, dall’altro invece devo addirittura elogiare. Si perché con la fine del film, oserei dire negli ultimi venti minuti, allo spettatore si palesa la amoralità e lo schifo in cui vivono le due famiglie. E’ il contesto in cui vivono ad essere marcio, della serie “siamo tutti amici fin quando l’apparenza è salva”. Infatti alla notizia dell’incidente, e all’allargarsi del giro dei sospettati, ogni famiglia con cui l’asse Bernaschi/Ossola ha rapporti si chiuderà nel suo guscio
diffidando dagli stessi. Contemporaneamente con la conclusione del film, e le apparenze ripristinate, si ritorna ad essere amici o presunti tali.
Forse è per questo che Serena preferisce il morto di fame.

Il film è, a mio avviso, validissimo ed è aberrante che in una sala di oltre 200 persone fossero occupati solo 2 posti.

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