20 Recensioni su

Il capitale umano

/ 20147.5458 voti

Schifosamente realistico / 29 Maggio 2023 in Il capitale umano

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Lo specchio di una ricca società cresciuta nel torbido, una facciata borghese perbenista che riesce a cavarsela anche nelle peggiori situazioni.
E a rimetterci un povero cameriere, l’unico della storia che aveva davvero “lavorato”….
Ma menzionare lo schifo provato nella scena in cui Ossola propone il “ricatto” alla moglie di Bernaschi e lei con indifferenza accett, facendogli scrivere gi estremi… cioè: la madre non batte ciglio a sborsare pur di stare tranquilla col figlio, e un padre si serve di aver letto dei messaggi della figlia col fidanzato pur di riavere i soldi…e con gli interessi… il disprezzo puro.
L’italia moderna. Bleah.
Ottima regia, buon cast. Bentivoglio in un ruolo viscido è davvero bravo 🙂
7/10

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. / 24 Luglio 2018 in Il capitale umano

Melodramma con qualche sfumatura da thriller ben calibrata, Il capitale umano è una pellicola ben riuscita, non gridata ma attraversata da un senso di disagio discreto che permea ogni personaggio rappresentato. Si va dunque dal piccolo borghese con manie di espansione e propensione all’impulso distruttivo al riccastro che si arricchisce giocando con la finanza e il declino di altri (pure i suoi cari) o di un paese. Le donne del film sono strettamente legate ai loro uomini, spesso da questi frenate, ma sostanzialmente figure positive o che tentanto di far bene. Il cast è bravissimo,con nota di merito per Valeria Bruni Tedeschi a mio parere, voce tremula e sguardo perso perfettamente coerente col personaggio. La storia in sè, suddivisa in 3 capitoli che seguono 3 punti di vista, è un intreccio che evolve mettendo assieme i pezzi fino al finale (un po’ facilona la scoperta che cambia le sorti di un personaggio) caratterizzato da una certo immobilismo, rappresentativo del contesto socio-culturale gretto di riferimento. Lapidarie le parole conclusive su schermo nero.

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Ritratto impietoso / 26 Luglio 2017 in Il capitale umano

Ritratto impietoso e realistico di una fetta di società italiana, tra borghesia predatoria e piccola borghesia furbastra e mentecatta; con l’intellettuale di provincia narcisista e la trophy wife velleitaria e ingenua (che assieme alle altre donne del film è però tra i pochi a mostrare un volto umano). E con il più debole che alla fine è l’unico a pagare – anche se Virzì gli regala uno scampolo di lieto fine.
Temi forse non originalissimi, ma confezionati in un bel gioco a incastro di punti di vista diversi.

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Molto intenso / 1 Dicembre 2015 in Il capitale umano

Facile fare paragoni con film storici e trovare punti per sminuirlo. Ma questa pellicola mi è piaciuta molto. Storia molto coinvolgente, che fà scorrere il film e riesce a farci immedesimare in ogni personaggio. Incastri molto carini è secondo me è anche una pellicola che riesce a trasmettere qualcosa. Non il classico film che racconta una storia e finisce li, fà riflettere. Sicuramente un film che merita di stare in quelli da vedere almeno una volta nella vita!

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Perfetto thriller borghese / 8 Luglio 2015 in Il capitale umano

La vita può essere feroce nelle sue traiettorie casuali. Catturare queste coincidenze pericolose senza scadere nel favolistico non è semplice, Virzì ci è riuscito milanesizzando un thriller borghese di Amidon con ritmo ed eleganza. L’ imprenditore intrallazzone e disperato di Bentivoglio è una delle interpretazioni più aderenti al vero che io abbia mai visto.

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profondo / 5 Maggio 2015 in Il capitale umano

profondo

21 Gennaio 2015 in Il capitale umano

Paolo Virzì cambia genere e fa un film più drammatico sulla triste realtà italiana; tratto da un romanzo ambientato in Connecticut ma Virzì riesce bene ad adattarlo alla realtà italiana e brianzola in particolare.
Siamo in Brianza e la vicenda, dopo il prologo che vede l’investimento di un ciclista, viene seguita da tre punti di vista prima del gran finale (divisione in capitoli).
Nel primo troviamo Dino (Fabrizio Bentivoglio) un agente immobiliare che ha come compagna la psicologa Roberta (Valeria Golino) e ha una figlia. Grazie all’amicizia della figlia con il figlio dei Bernaschi, coltiva l’amicizia con il padre (un bravo Fabrizio Gifuni) con l’ambizione di avvicinarsi a quell’ambiente snob.
Nel secondo Carla (Valeria Bruni Tedeschi), la moglie del Bernaschi è insoddisfatta della vita. Inizia un pò a rivivere quando si propone di strutturare l’antico teatro della città.
Nel terzo Serena (la bella scoperta Matilde Gioli) con la sua vita giovane un pò complicata tra amori finti e amori vinti.
Col capitolo finale si chiude il film; film interessante che indaga sull’infelicità dei ricchi. Personaggi abbastanza antipatici e snob, tranne qualche rara eccezione; comunque ottima prova degli attori impegnati. Cito anche Luigi Lo Cascio, il direttore artistico del teatro.

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15 Ottobre 2014 in Il capitale umano

Lo ammetto: non mi aspettavo un film così.
Eviterò di essere ripetitiva, essendo d’accordo con le recensioni precedenti, mi limito a dire che come sempre non c’è un solo attore che mi abbia deluso ; Valeria Bruni Tedeschi mi è piaciuta da morire, credo che l’essenza del suo personaggio, Carla, sia tutta in quel “Quanto zucchero?” , una donna annoiatissima e ricchissima, che prova a riempire le sue giornate con acquisti inutili quanto costosi e progetti che non vanno in porto anche per colpa di quel pizzico di coraggio in più che alla fine le manca.
Moglie bambola assolutamente non stimata e considerata dal marito, un Gifuni cinico e stronzo, uno di quelli che mira sempre al massimo dalla vita, incapace, forse, di affetto vero.
un Bentivoglio che riesce a rendere Dino mediocre e patetico quanto fastidioso alla perfezione, incapace di gioire e godere di quel che ha, che sembra reagire con profonda falsa gioia alla gravidanza della sua compagna, interpretata da Valeria Golino.
Son tutti infelici, compresi i ragazzi protagonisti, Luca, Serena e Massimiliano, il più immaturo e superficiale dei tre.
Mi ha lasciato un enorme senso di disagio, inadeguatezza, tristezza,insoddisfazione cronica; il capitale umano da cui trae inizio tutta la storia solo un piccolo, marginale, pezzettino del tutto.
Il valore di una persona un mero dato da esprimere in cifre.

Ottimo Virzì, superbi gli attori, grandioso il risultato.

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24 Settembre 2014 in Il capitale umano

Realistico fino all’osso, con una colonna sonora di tutto rispetto (come in Tutti santi giorni), anche questo film di Virzì mi ha soddisfatto a pieno. Diviso in capitoli ‘alla Tarantino’, buona sceneggiatura, bellissime Matilde Gioli e Valeria Bruni Tedeschi (ottima scena di sesso, tra l’altro).

Non lo vedo come un film da Oscar, ma sarei allo stesso tempo felice se il genuino talento di Paolo Virsì fosse riconosciuto e premiato.

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Niente da fare / 30 Luglio 2014 in Il capitale umano

Non mi intendo del lato tecnico di un film quindi butterò giù queste righe per analizzare l’effetto emotivo. Se alla fine del film vi sale su una specie di sdegno nei confronti delle figure appena descritte dal film non rinnegatela, trasformatela in impegno civile perchè quel sentimento durerà poco. Prevale invece una sorta di rassegnazione all’idea che ognuno è ciò che è. O meglio ciò che gli viene detto nel corso del film: un buffone, una dilettante, una testa di ca**o ecc… Se è vero quello che La Bruni Tedeschi dice (ripresa nel trailer) “Avete scommesso sulla rovina dei nostri figli e avete vinto” è anche vero quel che gli risponde il marito “Abbiamo!”. Non ci sono innocenti, ci sono solo deboli e forti, ricchi e poveri. Virzì sembra voler fare un film di denuncia ma secondo me ottiene lo stesso risultato di tutti quelli che per anni hanno sputato nel piatto del capitalismo non per cambiare il brodo ma per allungarlo. Se davvero costoro vivessero fuori dalla società esistente non saprebbero cosa fare esattamente come cantano i Ministri in “Noi fuori”. La canzone non c’é film ma mi piaceva pubblicizzarla perchè secondo me pertinente. C’è invece una canzone di Amy Winehouse, una scelta iconica e azzecccata.

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21 Maggio 2014 in Il capitale umano

Un film amaro, duro, che punta una fastidiosissima luce al neon su tutta l’ipocrisia e la superficiale smania di avere, di arrivare, che pervade molti di noi, portandoci a mercificare tutto, finanche l’uomo, il valore della vita.
Un ritratto contemporaneo di una parte della nostra società che lascia un perdurante amaro in bocca. Di quelli fastidiosi ma al contempo in grado di risvegliare lo spettatore dal torpore facendolo stare ben dritto sulla sedia, teso in un coinvolgimento emotivo che mescola rifiuto ed attrazione in un meccanismo davvero efficace.
La struttura è molto dinamica: il film ci viene raccontato ripercorrendo gli stessi eventi dai punti di vista di diversi personaggi, così permettendo allo spettatore di realizzare una delle più grandi fonti di piacere, ossia l’entrare dentro le porte prima chiuse, l’ascoltare le conversazioni prima celate, il conoscere le trame prima nascoste.
E questo senso di appagamento che monta piano piano, conferisce alla pellicola il giusto climax, un andamento crescente che sfocia in un finale ben architettato.
La storia ruota intorno ad un incidente stradale nel corso del quale un ciclista viene travolto, di notte, e sbalzato fuori strada, finendo in ospedale in gravi condizioni.
Ma questo evento, che pure leggendolo così sembrerebbe dover essere centrale ed assorbente, resta sempre ai margini della narrazione, ci viene raccontato attraverso poche immagini riflesse in schermi televisivi sullo sfondo, non cattura mai l’attenzione dei personaggi. Fino a quando non esplode, andando ad intaccare le loro fragili esistenze. Allora sì, li smuove dalla loro pigra indifferenza, generando le più diverse reazioni, che ci mostrano goffi tentativi di contatto umano, di riscatto, di protendersi verso l’altro, e poi, con un crudo disincanto, quanto l’uomo possa svendersi o arrivare a negarsi quando naviga in acque tempestose dopo anni di bonaccia.
I personaggi sono tutti, o almeno buona parte, individui in bilico tra l’essere e il dover essere, tra il miraggio di una felicità da agguantare alla prima buona, seppur moralmente discutibile, occasione.
Perchè tutto è lì solo in attesa di essere accaparrato dal più scaltro, dal più veloce. Da quello che ha più brama.
Vivono fuori dalla realtà eppure ne sono protagonisti così tristemente esemplari.
E così non ci sono più limiti, si può arrivare a vedere e comprare la verità, a costo di una vita, perchè no. E in questo quadro, in cui, forse, il più apparentemente spietato è, quantomeno, il più coerente, ciò che conta è ciò cui può essere attribuito un valore economico. Anche l’affetto ne ha uno.
Una regia dinamica ed essenziale. Ottime interpretazioni di tutto il cast, in particolare del sempre bravo Bentivoglio.
Un film da vedere, che combina l’acutezza dello sguardo di un autore e regista italiano di grande talento e una struttura che nulla ha da invidiare alle produzioni hollywoodiane del genere.
Da vedere. Virzì si riconferma ottimo esponente del nostro cinema e, in generale, della settima arte.
Per me un 8/10.

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2 Marzo 2014 in Il capitale umano

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Abbastanza strano pensare a Virzì che fa un film su Varese, anche se idealmente si tratta di un paese whatever della Brianza, ma è una Varese dove ero appena stato prima di vedere il film e di cui riconoscevo le vie. Però ca**o, possibile che ci vado e non riesco mai a vedere il lago?
Ricostruzione di delitto attraverso molteplici punti di vista, che dividono la storia in capitoli, non per forza con ordine lineare ma procedendo per accumulo di dati. C’è Bentivoglio, marito della Golino, che fa il borghesotto che vuol fare il botto, usando la figlia che si scopa il figlio di un uomo d’affari chiaramente badass per avvicinarlo e fare soldi facili. Rispettive famiglie, di tutti. C’è la solita abilità di Virzì nel dare vita a personaggi da stereotipi, la macchietta di leghista col Va pensiero sul cellulare è fantastica, mentre l’incastro è fin troppo elaborato ma tiene, e io la Bruni Tedeschi in generale la sopporto ma non troppo. Il fondo invece è triste e pessimisconsolato, una società in cui tutto è denaro o stupidità. Tutti o quasi hanno e danno motivi per essere giudicati esecrabili, forse giusto il personaggio della Golino non li ha, e allora non si capisce bene il motivo per cui debba stare con quell’ominide disgustorama di Bentivoglio, personaggio intenzionalmente meschino e piccolo e costruito per provocare ripulsa. La speranza sono i giovani e i loro amori, non granché come soluzione, e quello alla fine manco muore, e i ricchi sono ancora ricchi e prendono aperitivi all’aria aperta con musica bella. Solco del cinema anti-finanziario, non ce l’hanno mica solo gli altri. Finanza Sucks!

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8 Febbraio 2014 in Il capitale umano

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Il capitale umano è un film, diretto da Paolo Virzì, tratto da un romanzo americano ambientato in Connecticut. Dal Connecticut ci spostiamo a Milano anzi ci spostiamo in “Briansa”.
Brianza, terra celtica terra padana terra d’apparenze.

La vicenda comincia una notte, è il Natale 2010, e in una scuola privata si è appena concluso un gran gala pacchiano al punto giusto. Si ostenta, si ostenta bene. Un padre di famiglia, uno dei camerieri della serata, sta tornando a casa pedalando sulla sua bicicletta.
Viene investito da un Suv.

L’evento serve da sviluppo alla trama.
Il regista si focalizza su due famiglie, la famiglia Bernaschi e quella degli Ossola.
Il capofamiglia degli Ossola, Dino, è un venditore immobiliare che nel suo piccolo fa una bella vita. Il punto è che vorrebbe un salto di qualità, vorrebbe essere ciò che non è, e questo sarà (quasi)fatale. Dino Ossola, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, è un pezzente. La sua non è ambizione, la sua è noncuranza, è menefreghismo, è stupidità.
Gioca un gioco che non può permettersi ed è disposto a fare i debiti pur di apparire. Vorrebbe ostentare, essere un “big” e gli basta sedere allo stesso tavolo dello speculatore Bernaschi per sentirsi importante. Vuole un pezzettino di fama, potere, denaro (quello vero, quello a dieci cifre). Vuole un pezzo della vita di Bernaschi.
Bernaschi, d’altro canto, è uno speculatore, uno squalo delle finanze. Fa una vita da sultano.
E’ imbottito di cosmopolitismo ma è profondamente razzista e classista.
Se in una mano abbiamo due uomini pronti all’autodistruzione pur di mantenere il proprio status, nell’altra abbiamo le rispettive mogli e figli.
Dino ha una figlia, Serena, interpretata dal nuovo volto del grande schermo Matilde Gioli, la quale sembrerebbe intendersela con il figlio di Giovanni Bernaschi, un certo Massimiliano il quale oltre ad avermi rubato il nome non sa neppure recitare (l’unico vero difetto del film è questo, un Lapo Elkann roscio fastidiosissimo), ed è sposato con una dolcissima quanto ignara Valeria Golino, la quale non sospetta gli impicci economici del marito. Giovanni invece ha una moglie-oggetto, una bionda remissiva che passa le giornate andando a fare compere e chiedendo agli ospiti se preferiscano una o due zollette di zucchero nel caffè. E’ una prostituta e non se ne rende conto
o forse fa finta di non rendersene conto. Il loro non è un matrimonio, è un legame basato sulla prostituzione legalizzata.

La caratterizzazione dei personaggi è qualcosa di superbo, trama a parte è lo stile narrativo ad episodi ad avermi colpito.
Uno stile già visto ma tremendamente efficace infatti tutti gli spettatori nella sala, la mia ragazza ed io, erano presi dalla velocità nei ritmi e dalle atmosfere amare della pellicola.
E’ stata una bella sorpresa, è un film che mi è piaciuto pur non condividendo una parte della fine.
Praticamente un personaggio è in galera poiché si scopre che ha investito il ciclista e con la scena messa in quel modo quasi fa dispiacere allo spettatore che il tipo/la tipa sia finito/a in galera.
Ricordiamoci che ha investito una persona.
Poi fateci caso si ricade sempre sulla tipa che lascia il ricco figli di papà per mettersi con il morto di fame problematico.

Voglio dire “Lapo dai capelli rossi” doveva essere lasciato a prescindere ma non posso credere che in tutta la Brianza l’unica alternativa a “Lapo” era Bob Marley di noialtri.

Se da un lato critico, dall’altro invece devo addirittura elogiare. Si perché con la fine del film, oserei dire negli ultimi venti minuti, allo spettatore si palesa la amoralità e lo schifo in cui vivono le due famiglie. E’ il contesto in cui vivono ad essere marcio, della serie “siamo tutti amici fin quando l’apparenza è salva”. Infatti alla notizia dell’incidente, e all’allargarsi del giro dei sospettati, ogni famiglia con cui l’asse Bernaschi/Ossola ha rapporti si chiuderà nel suo guscio
diffidando dagli stessi. Contemporaneamente con la conclusione del film, e le apparenze ripristinate, si ritorna ad essere amici o presunti tali.
Forse è per questo che Serena preferisce il morto di fame.

Il film è, a mio avviso, validissimo ed è aberrante che in una sala di oltre 200 persone fossero occupati solo 2 posti.

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5 Febbraio 2014 in Il capitale umano

Un episodio drammatico raccontato da diverse angolazioni. I protagonisti svelano ogni situazione, ogni momento, ogni emozione e riscono a chiudere tramite questa visione a 360° la realtà degli eventi.
Bravissimi tutti. Bentivoglio, la Bruni (sicuramente meglio della sorella, non che sia difficile…) e anche la Golino di cui non sono un grande fan.
Sconcertante la spiegazione del titolo…
Bello.
Consigliato!!!
Ad maiora!

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28 Gennaio 2014 in Il capitale umano

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

A me non è dispiaciuto, con tutte le sue imperfezioni, anche perché è davvero un tentativo da parte di Virzì di andare oltre il suo percorso che forse sente esaurito. E nel nostro panorama fare un film del genere non è comune. Certo il grottesco di Tutta la vita davanti non riesce a raggiungerlo se non nel personaggio di Dino, la freddezza con cui ammanta certa alta borghesia poi non è cattiveria pura (obiettivamente uno squalo della finanza italiana che segue le regole contrattuali nel suo lavoro e che preferisce vedere il figlio in galera piuttosto che salvarlo non è molto realistico). Virzì sceglie di seguire i tre protagonisti che muovono la storia con le loro decisioni, il laido arrivista, la moglie stanca e senza stimoli, pronta ad ogni compromesso, la ragazza che è il futuro rispetto al panorama rovinoso contemporaneo. Ci sono le macchiette, sì ci sono, ma davvero Virzì è buonista con l’intellettuale di sinistra? Lo Cascio a me sembra il secondo personaggio grottesco in ordine di graduatoria. E’ grossolano nelle due battute del leghista? Ma ragazzi, lo avete mai ascoltato Salvini? L’unica persona che ha una etica a tutto tondo è l’operatore pubblico, una scelta contro tendenza dell’oggi per cui una figura professionale sottopagata lavora, bene, nel sistema pubblico (dove tutti non fanno niente, sempre Salvini dixit). Peccato che non veda al di là del suo naso nella sfera privata, ossia non sappia giudicare il suo compagno, non lo veda neppure: il personaggio della Golino è il contraltare speculare di Gifuni, non per nulla per loro non c’è un punto di vista, non c’è la loro storia, loro sono spettatori.
In generale accuso la sceneggiatura di non essere stata capace di staccarsi da una moraleggiante coda buonista in cui lo sbandatello continua ad essere amato dalla ragazza equilibrata ed acqua e sapone (ma attenzione avrebbe sacrificato un innocente per amore) e il finanziere in fondo gioca pulito al gioco sporco dell’economia mondiale e il moraleggiamento è a mio parere qualunquista un po’ sparso ovunque. C’è davvero un abisso fra padri, veri o putativi, e figli, ossia i primi vampirizzano i secondi servendosene per fare soldi, per evitare la galera, per autostima personale, per apparenza sociale; i secondi ne sono sconfitti perché non riescono in nulla ad essere soggetti attivi del loro presente che è la caratteristica della loro età e la condanna nell’attuale sistema italiano.
Il distacco nella regia mi sembra invece ben calibrato, non ha molte trovate visive (Tutta la vita davanti ne era pieno), ma forse c’è una sorta di soggezione per il soggetto alto che trattava. Raggela quanto basta, disturba quanto basta, più i pregi secondo me che i difetti. Bello il titolo, si serve del calcolo assicurativo con cui si pesa il “valore” delle persone per farci domandare quale sia il valore di ogni personaggio nel loro potenziale affettivo, lavorativo sociale

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7.5 / 21 Gennaio 2014 in Il capitale umano

Un incidente stradale è il seme su cui germogliano i tre capitoli di una stessa storia, ripresa da tre punti di vista differenti, spazialmente vicini ma lontani negli sviluppi. Il regista e sceneggiatore (insieme a Bruni e Piccolo) Virzì ne ricava sapientemente un racconto dai toni di commedia italiana, unendoli efficacemente al dramma familiare per sfociare nel thriller.

Un film in crescendo e, di per sé, di film in crescendo l’Italia ne è completamente priva, o quasi. Lo sviluppo in salire implica un inizio lento, affannoso, ma la sceneggiatura stupisce, e inviluppandosi ai personaggi crea forti momenti riflessivi. Il cammino narrativo si sporca di colori complessi, dai vari riflessi, esplicando man mano una poliedrica tortuosità non sperata che crea, periodo dopo periodo, un affresco particolareggiato di locus umano, luogo dell’accadimento, forse inesorabile ma quantomai voluto, non con dolo ma con colpa, riflettendo un’ardua riflessione sul ciò che siamo, sul ciò che vorremmo essere.
La complessità sta nella varietà di situazioni narrate, dal sentire la crisi al vivere l’adolescenza, passando per il rapporto di coppia, alla carriera, al compromesso della ricchezza e le scelte che ci contraddistinguono, che riescono miracolosamente a compenetrarsi senza mai cadere nell’abbozzo superficiale, incontrando un grado di sviluppo di spessore e d’equilibrio. Qualche piccolo cortocircuito nel finale (tra tutti il ricatto del bacio, che appare come un evidenziare una tristezza morale che non necessitava di ulteriori conferme, o “LA SEMPRE TUA SERENA” che vizia il meccanismo della relazione, per poco non trascinandolo in un banale contesto adolescenziale) non reca troppo danno alla scrittura riuscita e profondamente riflessiva.
Attori scrupolosamente diretti e lucidamente presenti, un po’ sopra le righe Fabrizio Bentivolgio, che accentua l’interpretazione favorendo un’identificazione sociale ma svilendo un po’ la caratura del personaggio. Matilde Gioli usa bene il suo corpo, ripreso senza veli, naturale davanti alla cinepresa e consistente, tangibile, dona carattere ad un personaggio che rischiava seriamente di apparire piatto e fastidioso. Il resto del cast a proprio agio in parti che sembrano padroneggiare con esperienza.
Il finale epigrafico poteva rendere tristemente evidente ciò che non si era stai capaci di dire con le immagini, ma invece si integra alla narrazione ed esplicita il titolo, inasprendo un finale che sarebbe stato palliativo, colmandolo di interrogativi morali e di fatto capovolgendo un presunto lieto fine. Molti gli stimoli nella mente dello spettatore che esce dalla sala.

Con “Il capitale umano” il cinema italiano si arricchisce di buoni propositi, in un periodo “fortunato” dove tra crisi e deperimento culturale alcuni registi (Andò, Virzì, Sorrentino, Rosi ma anche Pif, Salvatores, Dritti) firmano il momento storico lasciandoci testimonianza di questo snodo sociale cruciale e quantomai decisivo.

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Avete scommesso sulla rovina del paese e avete vinto / 15 Gennaio 2014 in Il capitale umano

Un’opera completamente diversa da tutte le sue precedenti che mi fa collocare Paolo Virzì , che seguo attentamente sin dal suo esordio (La bella vita) , al primo posto nella mia ideale classifica di gradimento dei registi italiani di nuova generazione.
Ben strutturato nei suoi capitoli ad incastro , asciutto , spietato , sostenuto da un cast in grandissima forma dove riesce ad essere convincente persino Valeria Bruni Tedeschi (che confesso di non amare molto) , è un film che mi è piaciuto molto e per commentare il quale non credo ci sia niente di meglio di questo stralcio dell’articolo di prima pagina di Marco Travaglio (dedicato a tutt’altro) tratto da “Il fatto quotidiano” di domenica 12 c.m.

“Il caso vuole che queste intercettazioni escano in contemporanea con il film di Paolo Virzì Capitale umano e con le demenziali polemiche per il presunto, ridicolo “vilipendio di Brianza”. Il film, straordinario grazie anche allo strepitoso cast, è ispirato al romanzo di Stephen Amidon e, anziché in Connecticut, è ambientato a Ornate. Ma l’ultima cosa che fa venire in mente a una persona normale (dunque non a certi leghisti e giornalisti di Libero, del Foglio e del Giornale) è la Brianza. É una storia universale – ben scritta da Francesco Bruni e Francesco Piccolo – di capitalismo finanziario selvaggio che, ai livelli più alti come in quelli più bassi, pensa di poter fare soldi con i soldi e intanto annienta sentimenti, amicizie, affetti, famiglie, cultura, vite umane. Vite che, quando si spengono, vengono misurate anch’esse in denaro, col registratore di cassa, dunque non valgono più nulla. “Abbiamo scommesso sulla rovina del nostro paese e abbiamo vinto”, dice trionfante il protagonista, Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), mentre il suo alter ego straccione, Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), si vende la figlia per riprendersi i 900mila euro perduti in una speculazione andata a male. Gli unici scampoli di umanità li preservano le donne, interpretate magistralmente dalle due Valerie, Golino e Bruni Tedeschi, e dall’esordiente Matilde Gioli. Il merito principale del film è di illuminare le radici del fallimento di un paese ormai inutile, addirittura dannoso. “

Direi che non serve aggiungere altro salvo un consiglio : andate a vederlo .

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Banana Republic. / 13 Gennaio 2014 in Il capitale umano

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

L’ultimo di Virzì è un film profondamente disturbante: lo sono i personaggi e lo sono i messaggi posti alla base ed all’apice del racconto, riassumibili nella smania di apparire esattamente il contrario di ciò che si è e nell’incapacità di riuscirvi davvero.

Se il capitale umano viene calcolato anche in base alla qualità ed alla quantità delle relazioni personali di un individuo, chi, per scelta o per casualità, non ha costruito la propria vita sul profitto “consistente” e sulle amicizie “che contano” è, letteralmente, un disgraziato.

A fine proiezione, consapevole che la sequenza conclusiva sia stata costruita apposta per urtare i cinici ed i (presunti) duri di cuore come me, ero arrabbiata: perché in Italia (ovviamente, generalizzo, come ha generalizzato Virzì) siamo usi a concludere tutto a tarallucci e vino?

Detto questo, benché sia rimasta soddisfatta dal prodotto finito, sufficientemente solido dal punto di vista narrativo e davvero ben interpretato, un certo clima “asettico” non me l’ha reso particolarmente simpatico: a differenza di tutti gli altri film di Virzì, infatti, qui non si segue la vicenda di uno o più personaggi con cui sia semplice entrare in contatto empatico.
Lo spettatore, pur ponendosi in maniera critica rispetto al racconto, fatica a leggerlo come una “testimonianza” di vicende realistiche (seppur stereotipate), perché è invitato a giudicare i protagonisti: vede la trave nei loro occhi, ma non nel proprio, e la morale aleggia astratta.

P.s.: il personaggio di Carla Bernaschi (rivestito da una bravissima Valeria Bruni Tedeschi) e quello di Jasmine interpretato da Cate Blanchett nell’ultimo lavoro di Woody Allen si somigliano in maniera spaventosa.

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12 Gennaio 2014 in Il capitale umano

Alla base del nuovo film di Virzì c’è lo Human Capital scritto da Stephen Amidon.
Anche se nel romanzo originale si parlava del Connecticut, il regista livornese ha plasmato la storia su una realtà italiana, quella della Brianza. Scelta che gli è costata non poche polemiche, oltre che un paio di insulti (immotivati, a mio avviso) da parte di alcuni Leghisti.

Un thriller spezzettato e diviso in quattro capitoli (Dino, Carla, Serena e Il capitale umano), che verrà ricostruito man mano dalle voci dei suoi protagonisti. Emblematici e disgraziati personaggi di cui il nostro Paese pullula da decenni.

Il capitale umano non è altro che un affresco acuto e amaro di una realtà che ci appartiene (o che ci dista di pochi anni, se guardiamo indietro), di un Paese ormai sull’orlo dello sfascio, divorato dall’interno dai suoi stessi abitanti. Stupidi e avidi parassiti umani. Un film che parla sapientemente di velleità, di ascesa sociale e di voglia di arricchirsi facilmente; spregevoli ambizioni adulte contrapposte a quelle dei più ingenui e meno corrotti ragazzi, che più che al denaro, si preoccupano dell’amore. E di somigliare il meno possibile ai proprio genitori.

Uno spaccato di vita vera che racconta l’emozione con un forte realismo (tipico di Virzì), che non potrà non farci riflettere su cosa siamo diventati.

Peccato solo che la figura cardine del ciclista, unica vera vittima della storia e collante delle tre storie parallele, sia stata rilegata ad una comparsata di pochi secondi. Era lui l’unico, secondo me, che meritava attenzione.

Con un cast d’eccezione in cui spopolano Fabrizio Gifuni, perfetto in tutto il suo disgusto e Valeria Bruni, Virzì si aggiudica il primo film 2014 decente di casa nostra, lasciandoci abbandonare la sala col lo stomaco sottosopra, data la morale giusta, squallida e disgustosa (che il nostro Paese di merita) racchiusa nelle scritte degli ultimi secondi. “Una chiusa dedicata a tutti quelli per cui la “crisi” in Italia è solo finanziaria.”

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12 Gennaio 2014 in Il capitale umano

ascolta
ora che non sei più quello che volevi essere
respira
ora che sei chi vorrei avere accanto a me
prega
adesso intorno a te solo il blu
adesso qui con me sola .

ecco(ci) bella gente
noi siamo voi e voi siete noi…capito?
qui cè gente che lavora ,che si fa il c**o per i giovani che devono sviluppare una loro coscienza critica ,noi vogliamo far crescere l’importo nazionale (e quando dico nazionale voglio dire Nazionale) col minimo sindacale, stando attenti a tessere tele che per disfarle mica basta un soffio di vento,no signori,noi vogliamo che quello che stiamo costruendo duri per i prossimi centocinquant’anni, roba da finire sui libri di storia e di diventare aggettivo sostantivo,su su non lamentatevi,troppo comodo farlo adesso,dovevate pensarci prima,ora i buoi sono scappati,vi abbiamo in pugno…e quando dico pugno intendo (taaac)

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