Recensione su Conversations With Friends

Dopo aver visto Normal People, ho dato fiducia a Conversations With Friends, un’altra miniserie tratta da un omonimo romanzo della scrittrice irlandese Sally Rooney.

Anche in questo caso, il risultato è molto buono, anche se l’effetto ooh-là-là legato alla fattura della prima serie – che qui si ripete senza fallo in tutto: casting, fotografia, colonna sonora, ecc. – nel mio caso, è stato involontariamente attutito. Cioè, visto il precedente, davo per scontato che, vista la produzione (BBC Three + Hulu) e la regia (uno dei due registi, Lenny Abrahamson, ha co-diretto anche Normal People), difficilmente sarei incorsa in un prodotto discutibile.

Credo che la scrittura dei personaggi sia davvero il punto forte di questa serie (non ho ancora letto il romanzo da cui è tratta, non so di eventuali differenze tra i due medium): i quattro protagonisti, legati reciprocamente da quelle che è facile definire affinità elettive, portano con sé tante emozioni contraddittorie e confliggenti, generando un ampio spettro di situazioni complesse, concatenate fra loro.

Ho trovato interessante anche il fatto che la serie affronti con rispetto e senza apparenti moralismi argomenti “sensibili” come il poliamore e la bisessualità, in modo tale da favorire riflessioni, domande e approfondimenti personali.

Però, confesso che, con il procedere degli episodi, ho preso in antipatia quella che, in effetti, è la vera protagonista della miniserie, Frances (Alison Oliver, che, di recente, ha esordito anche al cinema, nel discusso film Saltburn), i cui dolori esistenziali sono perlopiù dovuti ai suoi silenzi e alle sue rivelazioni (ho perso il conto delle volte in cui, nella serie tv, si verifica questa situazione —> un personaggio a caso, rivolto a Frances: “Perché non me lo hai detto prima?”, Frances: “Non lo so” —> miei occhi rivolti al soffitto).