Good Kill

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Good Kill

Un padre di famiglia inizia a mettere in discussione l'etica del suo lavoro in qualità di pilota di droni per l'esercito.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: Good Kill
Attori principali: Ethan Hawke, January Jones, Zoë Kravitz, Jake Abel, Bruce Greenwood, Alma Sisneros, Kristen Rakes, Dylan Kenin, Michael Sheets, Peter Coyote, Fatima El Bahraquy, El Khttabi Abdelouahab, Colin Jones, Ryan Montano, Stafford Douglas, Zion Rain Leyba, Sachie Capitani, Ross Shaw, Kevin Wiggins, Mostra tutti

Regia: Andrew Niccol
Sceneggiatura/Autore: Andrew Niccol
Colonna sonora: Christophe Beck
Fotografia: Amir Mokri
Costumi: Cassidy Zachary, Lisa Jensen
Produttore: Nicolas Chartier, Mark Amin, Zev Foreman, Andrew Niccol
Produzione: Usa
Genere: Thriller
Durata: 104 minuti

Dove vedere in streaming Good Kill

Non è un videogioco, la gente muore veramente / 25 Gennaio 2018 in Good Kill

Buon film sulla “nuova” guerra diretto da Andrew Niccol (“Gattaca”).
Thomas Egan (Ethan Hawke) è un ex pilota di aerei da guerra, destinato a pilotare droni usati nella lotta contro i talebani in Afghanistan. E’ una guerra diversa dove i piloti dopo aver ammazzato terroristi, possono tornare subito a casa dalla famiglia, col rischio di non riuscire a staccare mentalmente dal lavoro. Le cose si complicano ulteriormente quando subentra la Cia a dare ordini alla squadra di Thomas e l’agenzia si fa molto meno scrupoli su eventuali civili (effetti collaterali) coinvolti nelle azioni dei droni.
Il film suscita dubbi etici sulla funzionalità della guerra dei droni, inoltre pone il dito sulla questione della vicinanza del pilota alla sua famiglia: se da una parte il fatto di non rischiare la vita e poter vedere ogni sera la moglie (January Jones) e i figli è sicuramente un vantaggio, dall’altro la mancanza di adrenalina delle azioni e il poco distacco (in termini di distanza in km) tra casa e lavoro potrebbe compromettere il rapporto famigliare.
Il film è solido e interessante; nel cast da citare anche Zoe Kravitz la copilota di Thomas con i dubbi morali (che si pone anche lo spettatore) di obbedire ad ordini ingiusti, Bruce Greenwood è il capo di Thomas.

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Target Lost / 6 Marzo 2016 in Good Kill

Superficiale e in definitiva poco interessante, Niccol a differenza del suo apatico protagonista mette poco a fuoco e manca il bersaglio, scivolando nella retorica spicciola senza nemmeno divertire, ma dopotutto Top Gun 2 andava fatto.

Un The Truman Show moderno e ribaltato / 3 Marzo 2016 in Good Kill

Good Kill è un film di guerra. E ad affermarlo si cade nel paradosso: perché il nuovo film scritto, prodotto e diretto da Andrew Niccol (lo sceneggiatore di The Truman Show, o autore di Gattaca, per intenderci) racconta di operazioni militari, atte a sventare eventuali minacce terroristiche nel territorio afghano, compiute da droni, cioè velivoli senza piloti, comandati all’interno di un container in una base militare a Las Vegas, cioè ad 11.000 chilometri di distanza. Non c’è l’uomo sul campo, o su un caccia bombardiere: e tutto si lobotomizza, l’esercizio in sé, le emozioni, le questioni etiche. È una guerra fredda moderna, astratta, che miete comunque vittime, ma quasi deresponsabilizzando chi commette l’atto.
Sulla scia de Il ponte delle spie di Steven Spielberg, per rimanere ad un esempio più recente, ma senza raggiungere tali vette, il film di Niccol riesce a descrivere un conflitto atipico, a suscitare ed evocare la guerra, più che a mostrarla sul campo: se i caccia nell’opera di Spielberg invece che bombe avevano installati potentissimi obbiettivi per scattare foto, e spiare il nemico, in questo caso sono “giocattoli” pilotati a distanza con un joystick. E ancora: se da un lato la guerra emergeva dalla tensione palpabile di estenuanti dialoghi e trattative, qui si palesa solo ed esclusivamente attraverso uno schermo. Niccol non ci mostra luoghi e persone, esplosioni ed uccisioni, tangibili, ma solo filtrate dalla loro immagine, cioè poste dietro ad un velo di finzione, che sappiamo, oggi così potente. In tal modo la distanza geografica aumenta, perché diventa distacco emotivo, percettivo: psicologicamente freddi, gli uomini che guidano i comandi, si trasformano essi stessi, inevitabilmente, in robot, destinati ad eseguire comandi, e a metterli in pratica, con una facilità apatica ed amorale. Con una freddezza da killer onnipotenti.
Il protagonista Tommy, interpretato da un enigmatico Ethan Hawke, vive dentro sé questo dissidio: ex pilota dell’aeronautica, con sei “tour” alle spalle, è in crisi, perché desidera tornare a volare. Desidera tornare a provare la paura, che ti fa sentire vivo, e rende il combattimento vero, il sangue vero, il dolore vero, la vittoria vera. Questa guerra virtuale, da Wii, lo sta logorando: così seppur riesca con questo “lavoro d’ufficio” ad essere quotidianamente vicino ai suoi cari, una moglie che lo ama e due figli, si sente distante. La sua persona è scissa tra il “ciò che si è” e il “ciò che si fa”, l’essere non combacia con la volontà, e anche l’esistenza quotidiana diventa banale: è quindi, in prima istanza, una questione di vocazione. Diventerà anche una questione morale, quando il compito affidatogli di premere quel grilletto prenderà derive drammaticamente più complicate, dopo che la sua squadra viene messa direttamente al servizio della CIA, che non ha scrupoli verso civili, donne e bambini, usati come scudi dai bersagli che loro “presumono” essere potenziali pericoli per gli Stati Uniti.
La rottura interiore si attua, e anche quella del suo mondo esterno: la moglie lo lascia, perché lo percepiva ormai irrimediabilmente “andato”. A questo punto il film scivola un po’, tra azioni di redenzioni, seppur legittime, e simbolismi oltremodo forzati a rappresentare un possibile recupero, una possibile espiazione, e ricucitura: forse troppo frettolosa (alla faccia di chi ha detto che il film fosse lento o noioso). Ma l’opera di Niccol resta comunque virtuosa, sorretta da un sempre eccellente lavoro visivo: il quartiere in cui vive Tommy è geometrico e curato, perfetto nella composizione, per le linee della strada e della casa, e del giardinetto, per i colori, e proprio per questo lo spettatore percepisce più falso di quelle inquadrature attraverso lo schermo delle case e delle strade nel deserto afghano: in tal modo il regista amplifica lo straniamento, del suo protagonista, ma anche nostro. Di fatto Good Kill è capace di far riflettere nella misura in cui riesce a ripescare il cuore pulsante di The Truman Show e trasferirlo in un contesto inusuale, seppur, anche questa volta, maledettamente attuale, e ribaltarne la prospettiva: ci porta dentro al box del dio della guerra, che ha il controllo assoluto, che sceglie chi vive e chi muore, in nome di ideali e salvaguardie. E il registro adottato da Niccol è lucido, mai eccessivamente retorico, quanto potentemente documentaristico. E in ciò sta il dramma maggiore, perché questa volta gli spettatori del reality show siamo noi, interrogati nella coscienza, ma inermi.

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