Drive My Car

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Drive My Car

Film ispirato a un racconto di Murakami Haruki. Nishijima Hidetoshi è un regista e attore teatrale felicemente sposato con la moglie, drammaturga. Improvvisamente, un giorno, la donna scompare.
Stefania ha scritto questa trama

Titolo Originale: ドライブ・マイ・カー
Attori principali: Hidetoshi Nishijima, Toko Miura, Masaki Okada, Reika Kirishima, Park Yu-rim, Jin Dae-yeon, Sonia Yuan, Ahn Hwi-tae, Perry Dizon, Satoko Abe, Hiroko Matsuda, Toshiaki Inomata, Takako Yamamura, Ryo Iwase, Faisal Anwar, Kamal Zharif, Massimo Biondi, Shoichiro Tanigawa, Yoshinori Miyata, Mostra tutti

Regia: Ryusuke Hamaguchi
Sceneggiatura/Autore: Ryusuke Hamaguchi, Takamasa Oe
Colonna sonora: Eiko Ishibashi
Fotografia: Hidetoshi Shinomiya
Produttore: Teruhisa Yamamoto, Tsuyoshi Gorô, Misaki Kawamura, Osamu Kubota, Sachio Matsushita, Yoshito Nakabe, Kazuo Nakanishi, Keiji Okumura, Yuji Sadai, Jin Suzuki
Produzione: Giappone
Genere: Orientale, Drammatico
Durata: 179 minuti

Dove vedere in streaming Drive My Car

21 Luglio 2022 in Drive My Car

Il film e’ lungo, lento, e con molti passaggi vuoti: scorre, ma forse in un episodio di un ora, oppure in forma letteraria (nel racconto stesso) la trama sarebbe stata piu’ efficace. Ha diversi punti di forza comunque, soprattutto nel modo in cui il regista mette in luce questo modo giapponese di fare le cose, freddo, privo di reale empatia e un po’ menefreghista. La lunghezza a volte aiuta a rendere l’atmosfera, ma a volte diluisce troppo.

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Drive My osCar / 27 Marzo 2022 in Drive My Car

È altamente pregno e stratificato, Drive My Car. Non ho letto il racconto di Murakami da cui è tratto, non so quanto e se Hamaguchi se ne sia distaccato, ma non farei fatica a credere che la pregnanza dei temi sia presente già nel testo originale.

I temi sono quelli del cinema d’autore più estremo. Ci sono tutti, e sicuramente me ne dimentico qualcuno: il teatro – e quindi la recitazione – come metafora delle maschere che indossiamo, gli specchi e quindi il tema del doppio, io che ti guardo e tu che sei guardato sapendo di esserlo, la forza catartica della finzione. Ah, poi, come se non bastasse, ci sono pure i titoli iniziali dopo 40′ di film!
Qualcuno potrebbe sostenere che, più che tutti i temi, ci siano tutti i cliché del cinema d’autore più estremo, che Drive My Car ne sia quasi una parodia, e non nego che quel qualcuno, per lunghi tratti del film, sono stato io.
Poi, anche grazie alla lunga durata, le mie difese si sono abbassate e, a un certo punto, mi sono fatto “comprare” dal film, dal suo andamento lento e tranquillo, simile all’andamento della Saab 900 turbo guidata da Misaki.

Insomma, per sintetizzare, non bisogna aver paura della finzione, perché, anche grazie a essa, si può trovare il cuore delle cose. O, comunque, grazie a essa, si può trovare una catarsi.
In generale, e più precisamente, nonostante la finzione, nonostante le tante maschere che indossiamo, esiste sempre un cuore delle cose puro da ricercare.
Tutto giusto, tutto bello. L’unico mio problema è che il film, però, quando prova a essere sentimentale, dimostra di avere, esso sì, un cuore un po’ posticcio. Eppure ci prova. Non si arrende al suo essere altero e preciso, ma vuole essere un film che cambia delle vite. In questo, secondo me, Hamaguchi fallisce. Laddove, invece, Il Gioco Del Destino e Della Fantasia – con temi simili – riusciva ad avere un cuore grandissimo, e quindi riusciva a rimanerti appiccicato addosso.

A latere, la parte più interessante, per me, è come il pubblico accolga questo film. Mi interessa sempre molto come veniamo influenzati, in positivo o in negativo, nel giudizio di opere che, come Drive My Car, hanno un così ampio consenso critico. Soprattutto, mi interessa la forma di riverenza e timore che si crea negli spettatori.

Infine, abbiate la bontà di perdonarmi il brutto titolo.

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Drive My Saab / 24 Marzo 2022 in Drive My Car

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Titoli di testa al 40° is the new cambio di aspect ratio intradiegetico (vedi Mommy). Il culto della “scena madre” diventa formalistico, nel XXI secolo. Così come formalistico è l’approccio del protagonista ai suoi spettacoli teatrali, che “cancellano” i testi di Cechov e Beckett per sostituirli con voci poliglotte e sottotitoli multilingua.

Sono curiosissimo di leggere il racconto di Murakami da cui è tratto il film, per scoprire di quanti dei meriti del film è responsabile. È una storia che sprizza Murakami da tutti i pori, nel bene e nel male.

L’on-the-road vero e proprio arriva solo alla fine, prima è più un Driving Miss Daisy post-moderno, che consegna alla storia del cinema l’icona di una Saab rossa più fiammante di una Ferrari.

Le strade sono spire che si stringono al collo del protagonista, finché al limite del soffocamento l’autista non provvede allo sfogo per la tangente, e via verso l’Hokkaido anti-urbana della memoria e della catarsi tanto attesa.

Un film che si presta a infinite rivisioni per sviscerarne ogni riferimento, conscio e inconscio, perché tre ore non possono bastare a definire i termini delle nostre angosce e dei nostri desideri. La strada è lunga e presto ci servirà qualcuno che faccia partire la cassetta e guidi la nostra macchina.

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