Il senso della perdita / 13 Maggio 2020 in Tales from the Loop
Miniserie ispirata dall’opera dell’illustratore Simon Stålenhag, di cui riprende le immagini dal gusto retrofuturistico. Ogni puntata narra una storia di senso più o meno compiuto, spostando via via il punto focale dell’attenzione sui vari componenti di una stessa famiglia (e su qualcuno dei loro amici e colleghi); la puntata finale riprende alcuni fili della trama lasciati in sospeso nelle puntate precedenti.
Il cast comprende nomi importanti: Jonathan Pryce (che si vede però quasi solo nel quarto episodio), Rebecca Hall e Jane Alexander, e diversi giovani attori non particolarmente conosciuti ma quasi tutti molto bravi.
L’ambientazione è nell’America (o nel Canada?) dei primi anni ’80, ma si indovina facilmente che è un’America alternativa, frutto di una serie diversa di eventi. Al centro di ogni puntata c’è un motivo sempre diverso, tratto da quelli classici della fantascienza: i robot, il viaggio nel tempo, gli universi paralleli, etc. Strani macchinari e strani fenomeni sono connessi in qualche modo a un misterioso manufatto alieno, che ci viene mostrato solo una volta, nella prima puntata. È abbastanza evidente il richiamo a Stalker; ma le macchine qui sono di fattura umana, rottami semifunzionanti abbandonati ai margini della civiltà (a volte, va detto, in modo che appare piuttosto avventato). La trovata fantascientifica alimenta organicamente la trama – solo nella quarta puntata costituisce poco più di un pretesto, mentre nella puntata finale appare invece superflua e arbitraria – dando luogo però ogni volta a una vicenda di interesse umano, che va ben al di là del motivo fantascientifico iniziale.
C’è una profonda malinconia in ogni episodio, un senso della perdita irrimediabile – ogni protagonista perde alla lettera qualcosa o qualcuno che gli era caro. La narrazione tuttavia si mantiene ariosa, quasi mai deprimente. Visivamente la serie evita lo scintillio tecnologico della fantascienza tradizionale, preferendo in omaggio alle illustrazioni da cui è stata ispirata uno stile dimesso, in cui le macchine sono quasi invariabilmente arrugginite e inserite in una natura lussureggiante.
Fantascientifico ma anche ambiziosamente artistico; poetico ma mai kitsch; lento ma sorprendentemente ricco di suspense; con protagonisti spesso molto giovani ma con tematiche adulte, Tales from the Loop sfida le convenzioni, e per questo potrebbe non essere adatto a ogni palato. Personalmente l’ho amato molto, soprattutto le prime cinque puntate, che sono per me tra le cose migliori viste in TV negli ultimi anni.
