‘La casa di carta’ in versione k-drama / 11 Luglio 2022 in La casa di carta: Corea

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Fin dall’annuncio di Netflix della produzione di questa serie tv, sono stata molto curiosa di vedere come la traccia narrativa de La casa de papel sarebbe stata declinata in k-drama. Perciò, ho approcciato La casa di carta: Corea stracarica di aspettative.
Purtroppo, per quel che ho visto, il risultato mi ha delusa abbastanza.

La premessa, però, è bella e interessante: in un presente alternativo, le due Coree hanno eliminato la divisione sociale, politica ed economica esistente fra i due Paesi dal 1945. Quindi, a cascata, alla riunificazione, seguono moneta unica, libera circolazione di persone e merci e apertura completa al capitalismo. Parità sociale e fratellanza fra i popoli del Nord e del Sud, invece, non vanno affatto di pari passo, con tutte le complicazioni del caso.

Ho abbandonato la serie dopo pochi episodi (perciò, mi astengo dal votarla). Fatta eccezione per qualche spunto degno di nota legato al differente contesto culturale, la serie tv La casa di carta: Corea mi è sembrata la schietta riproposizione del telefilm spagnolo.
Probabilmente, ho tirato le somme troppo presto, ma guardare questa serie mi stava semplicemente affaticando, senza appassionarmi in alcun modo.

Le dinamiche fra i personaggi sono rimaste invariate, lo sviluppo della grande rapina idem, Arturito in versione coreana è altrettanto odioso della controparte spagnola, Berlino parla sempre un sacco.
Perciò, cui prodest? Cioè, al di là del tocco esotico fornito dal contesto asiatico e alle citazioni gratuite al telefilm originale (su tutte, il locale del Professore che si chiama Bella Ciao…), questo progetto cosa aggiunge all’immaginario collettivo, oltre a una coniugazione in chiave distopica di un tema purtroppo già sfibrato dalle 5 parti (o stagioni) della serie matrice?

A sorpresa, piccolissima nota di colore che mi è piaciuta: quando i membri della banda scelgono i propri nomi, Rio (o Denver? Forse, Denver) chiede a Tokyo perché ha scelto proprio quel nome d’arte. E la ragazza risponde: “Perché faremo cose molto cattive”, con un felicissimo richiamo alla -invece- infelicissima storia dell’occupazione giapponese della Corea.

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