16 Dicembre 2012 in La morte sospesa

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

A metà tra documentario e film narrativo, con le voci e i volti dei protagonisti che si alternano alle riprese fittizie della vicenda, e tratto da un libro di uno dei protagonisti. Joe e Simon erano due scalatori un po’ pazzerelli inglesi che nel 1985 avevano deciso che avrebbero scalato la Siula Grande, sulle Ande peruviane, da una parete mai finora (e mai neanche dopo) affrontata da nessuno. E niente, lo sai come sono questi film sulla montagna, parti che va tutto bene, e poi disastro. Mentre scendono dagli oltre 6000 m della vetta (tutto quello che può disfunzionare in montagna di solito lo fa durante la discesa), Joe si rompe una gamba. Dolore. Simon lo cala giù 90 m per volta. Ma a un certo punto è costretto a tagliare la corda, per non morire pure lui. Simon torna al campo base. Inizia per Joe una autentica discesa all’inferno, prima la caduta nel crepaccio e poi si cala ancora, con una gamba rotta, senza cibo e acqua, per un totale di sei giorni. Quando arriva è ovviamente più morto che vivo.
Le riprese delle scalate sono ovviamente stupende, diciamo che non è proprio il film da consiglia a chi la montagna fa schifo. E per il resto si soffre, con entrambi prima e con il solo Joe poi, e si partecipa soffre, e si invidia la sua mirabolante forza di volontà e attaccamento alla vita che gli permettono, insieme a un paio di botte di culo pazzesche, di compiere quello che venne al tempo considerato un vero e proprio miracolo, visto che lo davano per morto da giorni.

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