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La memoria dell'acqua

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Nonfafreddo, nonfafreddo / 23 Maggio 2016 in La memoria dell'acqua

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Isolati da whatsoever, vivevano popoli indigeni, in Patagonia, che non avevano una parola per dire Dio, nomadi su canoe di isola in isola, e credevano nelle stelle e nell’acqua. Poi non capisco come facessero ma tutti nudi stavano, che a me vien male solo a vedere le foto, sai che freddo fa, in Patagonia. Va da sè che sono stati trrrrrucidati dai colonizzatori, di qualsiasi tipo essi fossero, eran migliaia e son rimasti in 20, e non veramente dei giovanotti, in fede mia. Perché l’acqua era (è!) la vita, ci dice il regista mentre oceani riflettono luci e piogge piovono a raffiche, e intervista poeti, artisti che spiegano una cartina del Cile, che è lungo lungo, tanto che va tenuto piegato, separato, accartocciato. Il migliore è un antropologo flippato che dice “se io posso essere acqua, allora anche tu puoi essere acqua, tutto il mondo può essere acqua!”. Di eccidio in eccidio, virata sui desaparecidos, come Jemmy Button (wikialo!) era stato comprato per un bottone di madreperla, così nell’oceano un bottone incastonato nella ruggine di un binario, un binario? Sì perché la dittatura del golpe 9/11 era così easy che metteva i cadaveri nei sacchi e li buttava a mare legati a un pezzo di binario da 30 kg. Si sa mai. La tesi perché è che tutto torni/parta/attraversi il mare, l’acqua, la Storia, il che d’un lato brillante non è, ma lo diventa con la prospettiva altra ed altera degli sguardi dei vecchi indigeni, la loro storia, che ripete e ritorna e scava nell’acqua. Dove tanto si trovatorna tutto no? E tutti.

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Sul Cile.. / 26 Aprile 2016 in La memoria dell'acqua

Dai Selknams (popolazione nativa cilena trucidata dai colonizzatori spagnoli ed europei) ai desaparecidos di Villa Grimaldi a Santiago ( il centro cileno di detenzione e tortura attivo sotto gli anni della dittatura di Pinochet). Due drammi che parlano di oppressori ed oppressi, sullo sfondo di un Cile che è culla del regista Patricio Guzman. Attraverso un continuo rilancio da una dimensione metaforica ad una sostanziale, Guzman affronta il tema del massacro in relazione alla natura, talvolta all’universo .
La struttura del documentario si articola seguendo voli pindarici che vanno dalla descrizione e intervista degli indios nativi cileni, passando poi per metafore naturalistiche che interrogano con belle inquadrature la struttura della materia e il movimento ondoso dell’acqua, ancora tornando all’oppressione perpetrata dalla dittatura di Pinochet per poi aiutarsi con efficaci effetti speciali nell’astrazione guidata verso l’universo, del pianeta terra visto dallo spazio. Un continuum narrativo che non sempre riesce a compattarsi su temi cosi distanti, seppur il tentavo di ricerca di una radice filosofica rime chiaro. Le inquadrature di grande maestria rendono godibili tutti gli 82 minuti, ma se ne esce senza una reale consapevolezza. Usare il tema dell’acqua come centro di correlazione tra l’uomo e la natura (anche astronomica), e quindi dar sfogo ad una voce formale ed una astratta, è un esperimento sicuramente interessante, non meno stimolante ma che ne rarefà la forza.

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