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I colori della passione

/ 20116.829 voti

16 Dicembre 2012 in I colori della passione

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Oh my god! Un film assolutamente… impossibile da spiegare. Sul serio. Cioè che finisce e… boh. Perché non è proprio lineare. É più una serie di personaggi e pennellate ed eventi e scene di vita quotidiane giustapposte su di uno sfondo comune. Insomma, hai capito, boh no?
L’intenzione del regista è quella di dipingere un film. Anzi no, di filmare un quadro. Beh, da quelle parti. Il punto di partenza è il quadro dal titolo La salita al calvario, di Brueghel il vecchio. Allora, come dire. Tutto questo, nel film, c’è. Non dico che saprei raccontarvi la storia di ogni personaggio. Però cazzo, quasi. Nel film c’è Brueghel che sta preparandosi a dipingere il suo quadro, e dispone tutti i personaggi nella scena iniziale in una sorta di posa. E poi lui continua i preparativi, ma intanto le storie di tutti scorrono sullo schermo, ed è una seconda passione di un Cristo fiammingo, perché quella era una passione nelle Fiandre con gli spagnoli che davano la caccia agli eretici riformisti. Per cui ci sarà un Cristo in croce, una Madonna (che è Charlotte Gainsbourg), Brueghel spiega gli equilibri e le prospettive su cui si basa il quadro, i soldati spagnoli appendono la gente in giro, più altre mille e una scene di vita quotidiana nelle Fiandre del 1500. E il mulino, possenti numi, quel mulino sull’alto della rupe, dovreste vedere quanta potenza ha e quanto in alto si trova, perché nel quadro il mulino sta dove di solito è posto Dio. Ed è wow, è quello che produce il pane, è il principio di vita. Non so, avete capito? Perché io serio, l’ho trovata una cine-esperienza grandiosa ma piuttosto improbabile da raccontare. Lentissimo eh, sia chiaro, ma tutte queste cose le immagini lo spiegano, le parole mica tanto.

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20 Ottobre 2012 in I colori della passione

Ero convinta fosse un mega-film-palla-polacco-sonno-facile-incorporato. Non lo è.
Non è certamente un film d’azione ma, lasciando da parte ogni pretesa di un film con una trama tradizionale o in qualche modo avvincente, può essere considerato un’esperienza particolare di videoarte, una sperimentazione che mescola una ricerca quasi maniacale sui dipinti di Bruegel il Vecchio, immagini quasi tridimensionali anche senza il 3D, rielaborazione dei paesaggi e dei colori che permettono allo spettatore di “entrare” nei quadri di questo artista.

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Esteticamente entusiasmante / 22 Settembre 2012 in I colori della passione

I colori della passione non è certo un film facile, come lo sono spesso i film che vogliono sperimentare la tecnica filmica, narrativa e visiva. E certamente non mira a un comune coinvolgimento dello spettatore, raggiunto attraverso meccanismi consolidati da produzioni più “standard”. Qui lo spettatore è pensato quale osservatore ideale di un “quadro in movimento”, e con questo l’opera si iscrive nella sperimentata tradizione dei “tableaux vivant” non solo storica, ma anche cinematografica (tanto per fare qualche nome: Pasolini, Godard, Greenaway), portandola oltre. però, al suo estremo, o verso una sorta di perfezione: tecnica, grazie alle possibilità attuali offerte dal digitale e da procedimenti tipo “blue screen”; e narrativa, perché perfettamente in sintonia con il tema centrale del film: una riflessione su quella “curiosa”, e così intrinsecamente umana, attività chiamata: arte di ritrarre il mondo che ci circonda, in cui siamo immersi, e di cui facciamo esperienza, diretta o come osservatori partecipanti.

In questo, I colori della passione tiene, eccome, perché le “posizioni” dello sguardo ci sono tutte: personaggi coinvolti nel dramma (il condannato e la moglie), personaggi che assistono al dramma, da vicino, e intanto vivono qualcosa di proprio (la coppia in atteggiamenti di intimità sessuale), personaggi che vedono e partecipano al dramma da una posizione più arretrata e più riflessiva (il collezionista d’arte, Nicholas Jonghelinck), personaggi che ritraggono il dramma partecipando con la mediazione della “traduzione” da un codice a un altro (il pittore, Brueghel stesso), e infine lo spettatore, seduto lì, sulla sedia, fuori dalla cornice, davanti all'”ultimo” schermo, e inevitabilmente presente, come il “traduttore” ben sa: egli c’è, e ci sarà, sempre. Un’idea specifica sulla rappresentazione questa che, a sua volta, trova piena espressione nel ricorso alla scelta scenografica delle molte “quinte” (riprese dirette in paesaggi reali, riprese su blue screen, la tela di sfondo che riproduce il quadro…).

Detto questo, e reso onore all’incredibile profondità e attenzione con cui è stato pensato, creato, costruito, realizzato questo film, e che lo spazio non permette di citare in toto, non resta che la visione: quel trasporto a tratti estatico che l’osservazione della pittura sa sollecitare, quel coinvolgimento sensoriale esteso che il cinema sa sollecitare, quel “rapimento” visivo che certe immagini sanno sollecitare sullo sguardo sensibile e ricettivo, siano esse fotografie, disegni, o riprese in movimento, quell’appassionata partecipazione a un’epoca fatta di gesti quotidiani, di usi, di costumi (la resa degli interni è sconvolgente), e quella insaziabile voglia di scene poetiche, nuclei micro-narrativi perfetti, che da soli bastano a dire tutto quello che c’è da dire (la scena nei boschi e la scelta dell’albero da tagliare; la salita della lunga scala dentro al mulino…)

Insomma, non resta che il godimento di quest’opera speciale, non resta che accogliere questo invito all’incantamento.

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