Recensione su I colori della passione

/ 20116.829 voti

Esteticamente entusiasmante / 22 Settembre 2012 in I colori della passione

I colori della passione non è certo un film facile, come lo sono spesso i film che vogliono sperimentare la tecnica filmica, narrativa e visiva. E certamente non mira a un comune coinvolgimento dello spettatore, raggiunto attraverso meccanismi consolidati da produzioni più “standard”. Qui lo spettatore è pensato quale osservatore ideale di un “quadro in movimento”, e con questo l’opera si iscrive nella sperimentata tradizione dei “tableaux vivant” non solo storica, ma anche cinematografica (tanto per fare qualche nome: Pasolini, Godard, Greenaway), portandola oltre. però, al suo estremo, o verso una sorta di perfezione: tecnica, grazie alle possibilità attuali offerte dal digitale e da procedimenti tipo “blue screen”; e narrativa, perché perfettamente in sintonia con il tema centrale del film: una riflessione su quella “curiosa”, e così intrinsecamente umana, attività chiamata: arte di ritrarre il mondo che ci circonda, in cui siamo immersi, e di cui facciamo esperienza, diretta o come osservatori partecipanti.

In questo, I colori della passione tiene, eccome, perché le “posizioni” dello sguardo ci sono tutte: personaggi coinvolti nel dramma (il condannato e la moglie), personaggi che assistono al dramma, da vicino, e intanto vivono qualcosa di proprio (la coppia in atteggiamenti di intimità sessuale), personaggi che vedono e partecipano al dramma da una posizione più arretrata e più riflessiva (il collezionista d’arte, Nicholas Jonghelinck), personaggi che ritraggono il dramma partecipando con la mediazione della “traduzione” da un codice a un altro (il pittore, Brueghel stesso), e infine lo spettatore, seduto lì, sulla sedia, fuori dalla cornice, davanti all'”ultimo” schermo, e inevitabilmente presente, come il “traduttore” ben sa: egli c’è, e ci sarà, sempre. Un’idea specifica sulla rappresentazione questa che, a sua volta, trova piena espressione nel ricorso alla scelta scenografica delle molte “quinte” (riprese dirette in paesaggi reali, riprese su blue screen, la tela di sfondo che riproduce il quadro…).

Detto questo, e reso onore all’incredibile profondità e attenzione con cui è stato pensato, creato, costruito, realizzato questo film, e che lo spazio non permette di citare in toto, non resta che la visione: quel trasporto a tratti estatico che l’osservazione della pittura sa sollecitare, quel coinvolgimento sensoriale esteso che il cinema sa sollecitare, quel “rapimento” visivo che certe immagini sanno sollecitare sullo sguardo sensibile e ricettivo, siano esse fotografie, disegni, o riprese in movimento, quell’appassionata partecipazione a un’epoca fatta di gesti quotidiani, di usi, di costumi (la resa degli interni è sconvolgente), e quella insaziabile voglia di scene poetiche, nuclei micro-narrativi perfetti, che da soli bastano a dire tutto quello che c’è da dire (la scena nei boschi e la scelta dell’albero da tagliare; la salita della lunga scala dentro al mulino…)

Insomma, non resta che il godimento di quest’opera speciale, non resta che accogliere questo invito all’incantamento.

Lascia un commento