Il lungo addio: è ok per me / 10 Marzo 2015 in Il lungo addio
Bel noir 70’s, disincantato e, a tratti, surreale.
Datato nell’adattamento dei dialoghi italiani, ma -complici i “mostri” del doppiaggio italiano impiegati (da Pino Locchi a Cesare Barbati, passando per Amendola)- evocativo di un certo cinema a stelle e strisce maschio e rude, personalmente assai gradito.
Gould mollemente ironico, bel Marlowe davvero. La scena della truffa al gatto è una bella “lente” sul personaggio. Un uomo versatile, pratico della vita e delle sue ombre, nulla sembra davvero scomporlo: emblematici i suoi viaggi in Messico con completo scuro e cravatta, una divisa fuori posto vestita con nonchalance.
In generale, Il lungo addio è un bel viaggio dietro le cortine della scintillante California dell’epoca, un racconto che decontestualizza dal punto di vista temporale il romanzo di Chandler da cui è tratto, trovandogli una nuova ed adeguata collocazione, contemporanea al periodo dello riprese, in stile da docu-fiction, se vogliamo.
Finale gelido, secco ed inaspettato negli sviluppi.
Ho apprezzato particolarmente il piccolo dettaglio conclusivo sui titoli, con Marlowe che, quasi una sagoma indefinita sullo schermo, afferra una piccola donna sconosciuta e accenna due passi di danza con lei: il passato è passato, coi suoi tradimenti e le sue follie, altro giro, altra sigaretta.
Chi dice che Inherent Vice è la versione lisergica di questo film non sbaglia affatto, l’udienza è tolta.
Nel cast, uno Schwarzenegger non accreditato, ma riconoscibilissimo, super-muscoloso e con zazzera bionda e liscia a caschetto.