Minions

Un film superfluo, che nulla aggiunge o toglie all’universo dei Minions, personaggi-tormentone già sufficientemente compiuti grazie alle loro apparizioni nei primi due capitoli di Cattivissimo Me.
Molte situazioni dl film sono davvero tirate per i capelli e, spesso, soprattutto quando non sono legate espressamente alla buffa espressività somatica e vocale dei mostrilli gialli, le gag funzionano a stento.

Non ho idea della qualità del doppiaggio della Bullock, ma quello ad opera della Littizzetto, oltre che fastidioso, è -come dire- ripetitivo, tanto è copiaincollato da quello già realizzato per la Regina Vittoria di Pirati! degli Aardman Studios. Inaspettatamente capace, invece, Fabio Fazio, anche se il personaggio affidatogli è poco più di un’ombra.
Mi è piaciuto il character design della Regina Elisabetta, con quei bei dentoni regali.

La ragione evoluzionistica della specie dei “minions” (gli “scagnozzi”: la radice della parola italiana richiama il fedele servilismo dei cani, e è molto appropriato in questo caso) è quella di porsi al servizio di un Boss, possibilmente il più cattivo del mondo, quello in cima alla catena alimentare. È stato così sin dalla preistoria, finché un giorno smarriscono il loro capo e si ritrovano sperduti in una grotta nella tundra deserta. Rimarranno lì a deprimersi fino agli anni ’60, quando tre coraggiosi pionieri si avventureranno alla ricerca di un nuovo boss.
L’umorismo degli omini gialli inventati (e doppiati) da Pierre Coffin è sempre spassoso grazie al suo tempismo clownesco e alla lingua incomprensibile fatta di tutte le lingue del mondo.
Apprezzabile lo sforzo produttivo nella ricostruzione di Londra che ci regala anche immagini di discreta bellezza. Ho apprezzato, in lingua originale, Sandra Bullock che interpreta l’acidissima Scarlett Overkill, che comunque è un personaggio macchietta.
I Minions meritavano un film tutto per loro, e il loro pubblico (me incluso) ne meritava un’indigestione. Sono personaggi che già da comprimari di Cattivissimo me sono riusciti a farsi notare e a diventare un simbolo dell’animazione contemporanea, anche se i film in cui sono comparsi non hanno altri grossi meriti.