Una famiglia in vacanza in una casa in mezzo ai boschi riceve una visita inaspettata, mentre il mondo va lentamente incontro all’Apocalisse. È lo spunto quasi identico da cui partono due film usciti nello stesso anno, Bussano alla porta di M. Night Shyamalan e Il mondo dietro di te di Sam Esmail. Ma il risultato è molto diverso: il secondo film, anche se decisamente non privo di difetti, è tuttavia molto migliore del primo.
Il film di Esmail ha un andamento non lineare: parte con un tono curiosamente distaccato, in cui anche l’incidente spettacolare della petroliera è raccontato senza troppa emozione; attraversa un lungo – forse troppo lungo – intermezzo parlato; diventa più incalzante nella parte finale, assumendo i modi leggermente più convenzionali del filone catastrofista, sia pure con un piglio originale che sfiora a volte il surrealismo (vedi l’episodio memorabile delle Tesla impazzite o quello dei denti).
Al centro del film c’è l’evoluzione psicologica dei personaggi di Amanda e Clay (Julia Roberts e Ethan Hawke) che da esempi di qualità negative – sospettosa in modo patologico la prima, vigliacco e passivo il secondo – vengono spinti dagli eventi a un’autocritica e a un atteggiamento più generoso. Nulla di particolarmente originale, e si nota inoltre un certo squilibrio nel confronto con l’impeccabile, quasi obamiano G.H. di Mahershala Ali, che se non corrisponde esattamente al luogo comune del magical negro tuttavia gli si avvicina. Le cose peggiorano quando da tratto psicologico personale la grettezza dei due bianchi viene a rappresentare una tendenza sociale negativa, l’indicatore di una disfunzione della nazione tutta. Qui Esmail proprio non convince, oscillando tra banalità e deriva complottista a stento tenuta a freno: l’episodio col survivalista interpretato da Kevin Bacon – altra incarnazione di un’America che non funziona – è il peggiore del film. Il finale sembra poi contraddittoriamente proporre come soluzione il rifugio nel bozzolo di un mondo armonioso di fantasia.
In conclusione, sembra che il regista e autore non riesca a colmare il divario tra stile e contenuto umano. Il livello formale è ottimo, se non eccellente, con la scelta originale delle situazioni, il gusto non disprezzabile per le inquadrature dall’alto o sghembe, la colonna musicale espressiva; il livello sostanziale soffre per il tono predicatorio e ingenuo. È la stessa contraddizione che nel giro di pochissime stagioni aveva fatto passare la serie Mr Robot dello stesso regista da piccolo capolavoro stralunato a prolisso garbuglio di attacchi banali alle evil corporations “che tutto controllano”.
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