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Il giocattolo

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Nino Manfredi è Charles Bronson / 25 Aprile 2020 in Il giocattolo

L’altroieri ho visto Il Giocattolo con Nino Manfredi. Alla regia c’è Giuliano Montaldo (Gott mit uns, Sacco e Vanzetti ma non solo) e la colonna sonora è di Ennio Morricone.

Vittorio Barletta, Nino Manfredi, è un ragioniere romano emigrato nell’Italia settentrionale*. La vita di Vittorio è apparentemente tranquilla, l’uomo lavora presso una grande società di proprietà di un suo amico e ha una bella moglie che lo aspetta a casa tutte le sere.

C’è dell’altro però, il suo amico non esita a sfruttare il suo nome in rischiose operazioni finanziarie e del matrimonio con sua moglie Ada non è pienamente soddisfatto. Un giorno Vittorio resta ferito ad una gamba durante una rapina in un supermercato, finisce in ospedale, frequenta una palestra e fa amicizia con un poliziotto napoletano che vede in questo esserino mite un bambino da proteggere. La loro è una bella amicizia, parlano di film, apprezzano Sergio Leone e niente vedendolo così indifeso se lo porta al poligono ed è qui che Vittorio scopre il suo talento.

Oltre ad essere un film in cui i personaggi parlano di cinema poliziesco, di Clint Eastwood, Dirty Harry e spaghetti western Il Giocattolo è uno di quei film che raccontano un’epoca: il protagonista al poligono scopre di avere una mira incredibile e una prontezza di riflessi paurosa e quando uccide un rapinatore per vendetta nessuno se lo incula più di tanto perché il film è ambientato negli anni ’70 e quelli erano gli anni di piombo, anni in cui l’opinione pubblica era attenta agli attacchi terroristici e di un giustiziere della notte ci faceva poco. Una battuta bellissima di Nino Manfredi riassume benissimo le righe precedenti: “Ma che deve fa uno per un po’ di attenzione? Una strage?” Allora Vittorio cambia e viene addirittura accusato di abuso di legittima difesa.

La trama del film si scrive da sola e l’unica pecca, pur restando un film grandissimo, è il finale. È un film ahimè poco conosciuto e che forse sarebbe cosa buona e giusta recuperarlo

*Probabilmente Milano, alcune sequenze sembrano girare al ponte di Portello

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Il logorio della vita moderna / 11 Maggio 2016 in Il giocattolo

La vicenda raccontata da Montaldo in questo film ha un duplice valore: si fa racconto metacinematografico, citando indubbiamente il filone machista dei poliziotteschi italiani e dei vari giustizieri della notte bronsoniani d’oltreoceano, ma, tenendo presente anche questo aspetto, mette in mostra radici oserei dire documentaristiche, dal forte sapore antropologico.
Girato e ambientato alla fine degli anni Settanta, in un’Italia segnata da un clima generale fortemente inficiato dal terrorismo, il film ha per protagonista un uomo qualunque, mite e mediocre (nel senso originario del termine, cioè a metà strada tra due grandezze), che vede in una propria inaspettata dote (l’abilità con le pistole) una forma di riscatto personale su scala comunitaria.

Letteralmente, il cittadino si ribella.
Ma, benché nel film non manchino episodi di delinquenza violenta, nello specifico l’uomo-medio non si ribella ad una forma di criminalità “evidente”, come invece accade negli esempi cinematografici citati: sentendo il peso del ferro tra le mani, beandosi della forza che l’arma sembra trasmettere al proprio animo, l’anonimo Vittorio Barletta (un eccellente Nino Manfredi) comprende per la prima volta cosa significa trovarsi in una posizione di superiorità, conosce il potere e si illude di poter ribaltare il proprio destino, legato ad un impiego mediocre e ad una moglie amata, ma debole e malaticcia (Marlène Jobert).
Benché le premesse siano diverse, come non trovare grosse affinità con il pressoché coevo e tragico sig. Vivaldi (Sordi) di Un borghese piccolo piccolo di Monicelli?

Se la prima parte del film, quella forse più riuscita, descrive con pennellate veloci, essenziali e realistiche il protagonista e il contesto in cui vive, la seconda metà assume toni quasi grotteschi, oserei dire kafkiani, interessanti ma non sempre completamente azzeccati (vedi, in particolare, la seduzione ad opera della viziata e cinica figlia del capo del Barletta, un arrogante ma a suo modo divertente Arnoldo Foà).

Il finale tragicamente inaspettato riporta bruscamente l’attenzione sul contesto sociale e sull’alienazione diffusa nel mondo contemporaneo, dove nessuno sembra più porsi domande né interessarsi a cosa accade al proprio vicino, neppure quando sente esplodere nel buio della notte un colpo di pistola.

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