Dopo “Ali G” (2002), “Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan” (2006) e “Bruno” (2009) torna Sacha Baron Cohen (che cura anche soggetto, sceneggiatura e produzione), eclettico attore comico ebreo, con un nuovo eccentrico personaggio assolutamente sopra le righe e semplicemente fuori di testa. Rispetto ai precedenti il film (ispirato ironicamente al libro “Zabibah and the King” scritto da Saddam Hussein) è più politico e meno sociale, e la satira che ne consegue è indirizzata paradossalmente sia ad un modello di vita e di società americana che si autoproclama “giusto” sia al mondo nordafricano e mediorientale; come nelle precedenti pellicole gli stereotipi ci sono tutti, e il personaggio del Generale è un dittatore sui generis che riunisce tutte le caratteristiche possibili di questo tipo di figura, con esiti esilaranti che derivano principalmente dal suo assoluto disprezzo per qualsiasi minoranza o diversità etnica, religiosa, linguistica e sessuale. Si ride in modo sguaiato e di pancia quando le gag sono di tipo scatologico (sesso soprattutto) ma con un orecchio anche ad uno humor linguistico basato sulle parole e sul significato che possono avere in determinate situazioni, creando quindi una risata a “livelli”. Probabilmente più “film” degli altri, con un montaggio che si distacca dallo stile documentaristico e dalle gag/candid camera, ha una sceneggiatura basilare arricchita dal personaggio politicamente scorrettissimo che non esita a maltrattare chiunque con la sua tronfia stupidità e ad usare metodi di persuasione tipici di regimi diversamente democratici; in questo Baron Cohen (doppiato ancora da Pino Insegno, che quando si dedica al doppiaggio e non alla tv o alla tristissima Premiata Ditta guadagna punti) dimostra di avere una capacità di immedesimazione in personaggi assurdi e sgradevoli fuori dal comune. Per la regia di Larry Charles, director dei due precedenti film coheniani che si affida completamente al personaggio principale, il film vede la presenza di Ben Kingsley (premio Oscar 1983 per “Gandhi”), John C. Reilly (con cui Baron Cohen aveva già lavorato in “Ricky Bobby – La storia di un uomo che sapeva contare fino a uno” (2006)), che ritorna al comico dopo lo straordinario “Carnage” (2011) di Roman Polanski, e Anna Faris, ex protagonista di tutta la saga di “Scary Movie”, in un ruolo da femminista, vegana, new age e chi più ne ha più ne metta. Probabilmente “Borat” aveva una carica corrosiva maggiore e un effetto-novità che lo accompagnava, e ciò contribuiva a renderlo più caustico, ma anche “Il dittatore” può essere godibile, a patto ovviamente che piaccia questo tipo di comicità.
Leggi tutto