C’è più Bava in “Reservoir Dogs”, in Italia “Le iene”, o più Tarantino in Rabid Dogs, da noi Cani Arrabbiati? Se si guardano gli anni di produzione di queste due straordinarie pellicole, la risposta è presto data, è il buon Quentin ad essersi ispirato a questo isterico on the road nostrano per il suo film del 1992. Già, così sembrerebbe, se non fosse che il film di Bava fu bloccato ai tempi della sua uscita nelle sale, nel lontano 1974, a causa del fallimento della casa di produzione di Roberto Loyola, produttore del film, e mai più sbloccato, almeno sino alle porte del nuovo millennio. Nessuno a parte gli attori, il regista e pochissimi altri, probabilmente, ebbe il privilegio di vederlo finito nella sua director’s cut all’epoca, ed anche ai giorni nostri ne girano diverse copie con piccole e grandi differenze, la più famosa il finale diverso. Calma!!! Non faccio spoiler per chi non lo avesse ancora visto. Dunque Tarantino, pur lavorando nella famosa, fornitissima videoteca di Manhattan Beach a Los Angeles, come gli altri, non potè ammirare questo autentico capolavoro e di conseguenza ispirarsi come invece avrebbe fatto più tardi negli anni.
Parlando del film in questione, “Cani Arrabbiati” è un autentico tour de force di cinismo e cattiveria umana, uno spaccato estremamente crudo e spietato di un’Italia anni 70 tutta piombo, pallottole e violenza. Non c’è redenzione, non c’è melodramma, non ci sono buoni sentimenti, nemmeno a parlarne, non c’è niente, solo ed esclusivamente l’avidità dell’uomo, qui rappresentato più come una bestia feroce, appunto, come un cane arrabbiato. Tre spietati criminali pronti a tutto in fuga dopo una sanguinosa rapina, un uomo con un bambino malato che avrebbe bisogno di cure mediche, una malcapitata ragazza urlante, ostaggi dei tre fuorilegge, ed una macchina. La macchina, il luogo dove si svolge l’80% dell’azione, il luogo dove tutte le dinamiche prendono forma, dai dialoghi, alle emozioni, alla morte. Un’ora e trenta minuti di calvario puro, anche per lo spettatore, spettatore che quasi si trasforma in un altro ostaggio, ma un calvario da gustarsi tutto, fino al memorabile e beffardo finale (il fiale di Bava, non quello rimaneggiato malamente), dove le nostre già piccolissime certezze, evaporano del tutto. Regia pazzesca, asciutta, svelta, attori prefetti, su tutti Riccardo Cucciolla, il gigantesco George Easteman e l’esagerato e gigionesco Don Backy nel ruolo della sua vita. L’autostrada che i sei percorrono è infuocata, ma dentro quella macchina la temperatura è ancora più alta. Un film da vedere e da avere.
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