Recensione su Blood simple - Sangue facile

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capolavori da riscoprire / 11 Novembre 2015 in Blood simple - Sangue facile

Era il 1984, a governare gli Stati Uniti d’America c’era un attore-presidente ed il mondo aveva assistito alla venuta di quel piccolo cult de La Casa (1982, Sam Raimi). Una coppia di ebrei americani provenienti da St. Louis Park, un sobborgo di Minneapolis, avevano lavorato come aiuto regista in quel piccolo grande capolavoro sopracitato, un film che avrebbe segnato generazioni di cinefili e non solo. Nel 1984 quei due fratelli così affiatati diressero l’opera di cui andrò a parlare fra poco.
Era il 1984 e benché Joel sia accreditato come regista ed Ethan come produttore si tratta del loro duplice esordio, e che esordio, alla regia. Un Crime con la C maiuscola, noir fino al midollo, un’opera delirante. Le luci si abbassano, la sala in silenzio, il titolo sullo schermo: BLOOD SIMPLE
La trama ruota attorno ad un uomo che chiama un detective privato perché si sente le corna spuntare sulla testa. Effettivamente viene tradito dalla sua donna e allora cerca di intervenire come può. Il risultato è un calcio nelle palle dato al nostro dalla sua donna. Di conseguenza richiama il detective proponendogli di uccidere la moglie e l’amante per 10.000 dollari sonanti. Eppure se fosse così semplice non ci sarebbe molto da dire, sarebbe un film di serie b comune e soprattutto non sarebbe un film dei Coen, dico bene? Infatti il film parte da questa trama semplicistica, degna del miglior film di genere anni ’70 e ’80, per complicarsi ed evolversi in un prodotto raffinato con una forte impronta autoriale. È proprio con Blood Simple che nasce la collaborazione tra i due fratelli, una collaborazione così stretta che non si capisce se effettivamente sia Ethan o Joel a dirigerla e francamente a nessuno frega un ca**o perché se il risultato è un cinema come quello dei Coen il nome diventa una formalità. Ma andiamo con ordine, dicevo che il film si sviluppa in modo piuttosto complesso e si muove all’interno di una spirale di violenza in cui il sangue abbonda sempre più, scena dopo scena. Prendiamo la figura del marito, Marty è il proprietario del locale dove lavora l’amante della moglie Abby. Arrabbiato con il mondo, consapevole dell’insoddisfazione della moglie, arriva a chiamare l’investigatore Loren Visser per pedinarli prima ed ucciderli poi.Da notare come l’investigatore Loren, interpretato da M. Emmet Walsh, ricordi vagamente nei modi di fare, nella sua mole e nella sua corruzione morale il capitano Quinlan del film Touch of Evil diretto dall’enorme Orson Welles. Loren Visser è un altro grande personaggio con un carattere altrettanto difficile ed autoritario. M. Emmet Walsh sta perfettamente nella parte, anzi secondo me è proprio il motore primo dell’opera, all’inizio sembra l’ennesimo ciccione buontempone che potrebbe fare benissimo una finaccia. Sembra un pacioccone ed invece è un infame doppiogiochista. Nei primi venti minuti di film l’investigatore pedina i due, li spia fare l’amore, porta le prove al marito che incanala la rabbia fin quando non esplode nel piano che vorrebbe la moglie e l’amante morti. Ma non è l’unico ad ordire un piano Machiavellico, infatti anche Loren sta organizzando parallelamente una congiura uguale e contraria. Nel mentre Ray tenta invano di scusarsi con Marty, Abby gli molla un calcio nelle palle, Marty torna da Visser, Visser si reca a casa di Ray, trova il duo ma fa una cosa abbastanza strana, prima fruga nella borsetta della donna trovando e rubando la sua pistola, poi esce e si piazza davanti alla finestra della camera da letto dove i due dormono. Film di genere ma anche d’autore. Nel passaggio della scena si sente un rumore simile ad uno sparo e nella scena seguente l’investigatore porta le foto che provano la morte del duo. Nella foto i corpi sono crivellati dai proiettili, lo spettatore sente lo sparo (o è convinto di sentirlo) ma niente è come sembra. Senza entrare troppo nel dettaglio avviene un omicidio, la pistola rubata verrà lasciata nel luogo del delitto, la fiducia vacillerà e l’investigatore? Che fine fa l’investigatore? La risposta la troverà chi vedrà questa fantastica pellicola firmata Coen. Una delle cose che più mi piacciono nei Coen è il loro rispetto per il cinema Noir, ma più in generale per il loro rispetto verso il cinema di genere (l’amicizia con John Milius, Sam Raimi e l’aver partecipato al progetto La Casa credo li abbia temprati) e il loro essere registi d’autore senza però risultare presuntuosi. In loro non c’è velleità artistica ed è una cosa bellissima, sono semplici, vivono la regia e l’essere registi in modo puro.L’autorialità sta nel montaggio, vedendo il film vi renderete conto da soli quali devices vengano usati nel cambio di scena o nelle scene di raccordo (ce ne è una che mi ha fatto impazzire, non è neanche la scena migliore del film, è una scena semplicissima con Abby che si abbassa per raccogliere qualcosa, nel raccordo fra una scena e l’altra invece di usare la dissolvenza o invece di cambiare bruscamente scena, i Coen usano unire entrambe mantenendo il primo piano sulla protagonista introducendo un decimo di secondo di stacco nero e facendola continuare ad abbassare sempre in primo piano. Intanto lo sfondo è cambiato e siamo in camera da letto), nei movimenti della mdp, nell’uso delle luci e delle ombre, perfino nella scelta della colonna sonora. E poi c’è la rappresentazione di tutto il panorama americano, il Texas nelle sue sconfinate strade notturne, le luci delle autostrade, i bar e le pompe di benzina, le atmosfere dark. C’è spazio pure per una parte dedicata ai sogni di Abby, entriamo nella sua testa, nelle sue fantasie e nei suoi incubi. Cinema d’autore che incontra il cinema di genere. All’inizio vedendo il film lo spettatore potrebbe pensare: dove vanno a parare i Coen?; l’opera si prende il suo tempo prima di partire ma quando parte, esplode come una granata.

C’è una scena bellissima nel film, una sparatoria all’interno di un bagno, girata strettissima, con l’investigatore bloccato ad una finestra. Il primo piano di M. Emmet Walsh ripreso dall’esterno mentre la tempia sanguina a causa dei vetri rotti, che cerca di sparare ad un personaggio che è in un’altra stanza. La scena dopo riguarda il personaggio nell’altra stanza, vediamo un braccio bloccato da un’altra finestra e la mano del detective bloccata da un coltello conficcato fra il palmo ed il legno alla base dalla finestra stessa. Una scena complicata, realizzata con l’uso di un braccio finto, in cui M. Emmet Walsh non fa altro che sparare (la stanza buia e i fori lasciano passare la luce) e, quando gli si scarica la pistola, dare pugni al muro nel tentativo di arrivare a togliersi il coltello conficcato nella mano. Blood Simple è un film dove abbondano le carrellate in avanti, le inquadrature al dettaglio, fatto soprattutto di primi piani ai validissimi Frances Mcdormand e John Getz, inquadrature al dettaglio di stivali, pesci morti ed accendini che scompaiono. Un capolavoro da riscoprire.

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