Recensione su Personal Shopper

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Film binario: qualche ipotesi e la spiegazione del finale (forse) / 22 Febbraio 2021 in Personal Shopper

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Personal Shopper è un film binario, fondato su una serie di coppie di elementi, che basa ogni suo sviluppo narrativo proprio sulla propria intrinseca dualità.
Enumero solo alcuni dei doppi che credo di aver individuato, cercando di ordinarli secondo un criterio di “discendenza”:
– Maureen (Kristen Stewart) e il fratello gemello Lewis;
– Maureen viva e Lewis morto;
– il mondo dei vivi e quello degli spiriti;
– Maureen personal shopper e Maureen medium;
– aspirazioni personali (Arte) e vita pratica (denaro);
– Maureen e Kyra;
– essere se stessi ed essere altro;
– Maureen viva e Kyra morta;
– Maureen asessuata e Maureen donna.

Anche dal punto di vista “strutturale” il film di Olivier Assayas è perlomeno duale: è un thriller psicologico (che bazzica dalle parti di Polanski e Repulsion) e un film sul paranormale.

Pure il finale di Personal Shopper non sfugge, intenzionalmente, alla sua natura binaria.
La sequenza conclusiva, davvero emblematica, mostra la Stewart alle prese con una rivelazione fondamentale. Rivolgendosi al pubblico (e al fratello Lewis, altra coppia), la sua Maureen dice: “Lewis, sei tu? O, forse, sono io?”.
Il finale del film, quindi, propone almento altre due coppie di elementi:
– realtà e immaginazione (o lucidità e confusione);
– Maureen viva e Maureen morta.

Per quanto assurda possa sembrare l’idea che Maureen sia morta, da un certo punto del film in poi (che identifico con la misteriosa scena dell’albergo, in cui le porte di ingresso e dell’ascensore si aprono come se fossero in presenza di una persona, mentre in scena non compare nessuno – eppure la macchina da presa sembra seguire i movimenti di una persona che esce dall’edificio), caldeggio anche per questa soluzione, tra le plausibili. In qualche modo è la più accomodante, tra quelle su cui ho riflettuto, ma la ritengo molto interessante. Come avviene nei film The Others di Amenabar o Una pura formalità di Tornatore, fino a un certo punto (cioè, fino allo sfondamento della quarta parete) Maureen non sa di essere morta (uccisa da Ingo, ritengo, come Kyra: quindi, doppio omicidio). Maureen si muove in un mondo fittizio e illusorio in cui crede ancora di essere viva e di interagire con le persone, tuttora in vita, a cui voleva bene (la fidanzata del fratello, il suo ragazzo -irraggiungibile- in trasferta in Oman). In maniera inconsapevole, Maureen ha un sottile contatto con il mondo reale:
– parla con il nuovo ragazzo della sua amica: lui non è un medium, ma è interessato alla materia, ne aveva parlato con il gemello di Maureen, e, forse, i due entrano effettivamente in contatto e conversano grazie a un portale temporaneo tra i due mondi;
– giunta in Oman, Maureen sente rispondere uno spirito, alla maniera dei fantasmi “incontrati” da Victor Hugo, di cui ha appreso grazie a un film per la televisione. Lo spirito genera un rumore, un tonfo. Ma, in realtà, chi è a generare il suono? Lo spirito con cui Maureen crede di parlare o lei stessa che, in forma fantasmatica, si rivela a qualcuno che tenta di contattarla, durante una seduta?

La battuta finale non apre solo questo scenario, ma, a mio parere, ne spalanca almeno un altro, se vogliamo più prosaico.
“Sono io?”: Maureen (viva) prende in considerazione l’eventualità che la sua mente le stia giocando orribili scherzi e di essere vittima di allucinazioni uditive e visive.

Nel complesso, nonostante il finale aperto e sibillino, per cui non esiste (e, forse, neppure è richiesta) una soluzione univoca, Personal Shopper è un film avvolgente e intrigante.
La Stewart incarna bene un personaggio che dà l’impressione di essere sempre capace di sbrigarsela da sé, eppure a disagio (altro dualismo), che si tratti del contesto lavorativo, della sua relazione sentimentale, dei propri abiti, del suo corpo.
Bella la fotografia algida di Yorick Le Saux, molto interessanti i movimenti di macchina di Assayas, specie nelle scene iniziali, quelle della villa, con la macchina da presa che segue Maureen come un altro fantasma, senza che l’operatore faccia scricchiolare il pavimento (a differenza dell’attrice, i cui passi sono sempre perfettamente udibili, mentre cammina sulle scale e sui solai di legno antico).

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