Una fiacca suicide squad / 29 Ottobre 2022 in Rapiniamo il Duce

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Renato De Maria si è armato di coraggio e ha scelto di giocare la carta del “falso storico” (ma plausibile), per mettere in scena Rapiniamo il Duce, un heist movie italiano con tante ambizioni, distribuito in esclusiva da Netflix.

Lo spirito del film è revivalistico, prima ancora che citazionistico, perché, in qualche modo, riprende, più che citare, appunto, un atteggiamento tipico (anche) di un certo cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta, in cui, spesso con non troppe lire a disposizione, generi e ambientazioni si mescolavano, dando vita a film di puro intrattenimento che, nelle proprie trame, non disdegnavano elementi mistificatori concepiti per rendere più “commerciale” la vicenda.
Poi, ça va sans dire (giusto per nominare una battuta ricorrente del film precedente di De Maria, Lo spietato, 2019, che “lavorava” in maniera analoga su atmosfere rétro), Rapiniamo il Duce richiama senza farne mistero precedenti come Robert Aldrich, Castellari, Huston, Sergio Leone e, per derivazione, Tarantino (ovviamente, Bastardi senza gloria, 2009, pur non annoverandone le soluzioni ucroniche).

Purtroppo, a fronte di evidente impiego di denaro e l’ampio uso di comparse e maestranze, il risultato finale è fiacco e mi permetto di attribuire la colpa dell’esito incerto a una sceneggiatura che, pur ricca di ottimi spunti, non ha investito a sufficienza sulla caratterizzazione dei personaggi principali. Non hanno spessore, sono pienamente e prevedibilmente lineari, non hanno zone d’ombra e non suggeriscono intriganti biografie, non si sviluppano e alcuni sono di troppo (vedi, la ladra acrobata e il falsario, ma pure l’eroe della patria interpretato da Capatonda è slabbrato e non è mai pienamente necessario).
Nel complesso, poi, la vena brillante della situazione non viene sfruttata, come se il progetto preferisse prediligere l’aspetto più serioso e drammatico della storia (e a nulla vale un finale beffardo ma telefonato che strizza l’occhio a Spielberg e Indiana Jones).

Come dicevo, imputo la cattiva riuscita del film soprattutto alla (mancata) caratterizzazione dei protagonisti.
Sulla carta, la suicide squad capitanata dal pur adeguato Pietro Castellitto/Isola è fantastica, ma non conquista mai l’aura epica che dovrebbe avere per diritto naturale: sembra agognare continuamente la piena simpatia del pubblico, senza ottenerla mai.
Una banda così avrebbe potuto vincere facile, rievocando senza intoppi (per esempio) Lupin III e i suoi furti mirabolanti (a proposito, mi è venuto in mente che, in un episodio della mitica seconda stagione della serie a cartoni animati, Zenigata si imbatte in cimeli d’epoca fascista e, “posseduto” dallo spirito di Mussolini, inizia a camminare col passo dell’oca…).
Dei cattivi, mi ha convinto più l’ex diva del muto interpretata da Isabella Ferrari che il convenzionale gerarca fascista di Timi, ma è certo che, in un film con date premesse, i villain avrebbero meritato di dominare la scena.

In generale, promuovo il reparto tecnico: trucco, parrucco, costumi, scenografie ed effetti speciali e visivi sono molto curati.
La colonna sonora “fuori tempo” non è male, ma è una trovata ormai un po’ abusata e non tutti i brani scelti mi hanno convinta, nonostante il contributo di Riccardo Senigallia a un paio di arrangiamenti.

Plauso per la durata contenuta, cosa fin troppo rara, ultimamente: solo 90 minuti.

Però, a fronte di tutti quelli che reputo come difetti, questa imboccata da De Maria (e anche da Gabriele Mainetti, per esempio) è una strada interessante che vorrei che un certo cinema italiano continuasse a percorrere. Serve il divertimento, servono le contaminazioni, serve la vivacità e questa è la direzione giusta. Secondo me, bisogna solo raddrizzare un po’ il tiro: confido nei prossimi tentativi.

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