Non c’è piacere senza orrore / 21 Giugno 2012 in Love Is the Devil
Un film sperimentale che gioca con le deformazioni lenticolari, la luce, il ralenti, l’uso perverso ed insistente del dettaglio, il grandangolo, la sovrapposizione di più formati artistici (la pittura, la forografia, il cinema stesso), il gioco di riflessi e le sovrimpressioni per trasferire al meglio le opere pittoriche del genio artistico di Bacon su pellicola. L’esempio perfetto della tecnica cinematografica che interviene a creare la diegesi stessa del film, palesandosi ogni volta che ne ha l’occasione, rifuggendo l’imposizione di una continuità narrativa e del montaggio invisibile. I volti grotteschi degli amici di Bacon sono deformi, gli occhi del pittore perennemente allucinati, persino il biondino faccia d’angelo Daniel Craig trasmette un senso di orrore indecifrabile: una lady Macbeth moderna che cerca di scrostare l’orrore dalle proprie mani, pur consapevole che l’orrore lo fagociterà. Direi che questo film è più che riuscito: sembra quasi di immergersi in uno dei quadri di Bacon, di penetrare la materia, sia cinematografica che pittorica. Il piacere come orrore, l’amore come morte… Non è un caso che il Lynch pittore si ispiri proprio a Bacon o che il suo Mystery Man cinematografico somigli in modo sconcertante a Francis che si prepara il belletto mattutino. Un omaggio alla storia del cinema, un immaginario Vertov che riprende l’occhio di Bacon che fissa incantato la scalinata di Odessa di Ejzenstejn o che percorre la scala a chiocciola di Vertigo e Siodmak. E più l’amore cresce, più esplode l’ossessione, e i corpi assumono forme astratte, la realtà si deforma (emblematica, in questo senso, la scena del water) fino a sgretolarsi nell’onirismo paranoico, in un viaggio verso la morte.