SAO, quando la grafica non basta / 17 Giugno 2014 in Sword Art Online

Sword Art Online è una serie del 2012, creata dalla nota casa di produzione A-1 Pictures e frutto di un adattamento di una raccolta di light novel dello scrittore Reki Kawahara. Questa serie in Giappone (ma anche all’estero) ha riscosso e riscuote tutt’oggi un notevole successo ed è considerata a tutti gli effetti la serie migliore inerente al suo anno di uscita. Questo dato, unito all’acquisto dei diritti da parte della Dynit ed alla relativa trasmissione su Rai4 sono stati i motivi che mi hanno portato a seguirla nel corso di questi ultimi mesi.
Sin dall’inizio, SAO fa capire di essere un prodotto sostanzialmente generato per puro intrattenimento. La trama infatti è abbastanza semplice ad un primo impatto, ma comunque promettente: in un futuro dove è stata sviluppata la realtà virtuale, con annessi videogames dotati della suddetta tecnologia, un gruppo di persone rimane imprigionato per motivi ignoti in SAO, vasto gioco di ruolo online ricco di elementi fantasy. Se dopo il primo episodio introduttivo questi elementi possono generare un certo interesse, avviso che la serie finisce purtroppo (inspiegabilmente) per smantellarsi delle sue buone intenzioni pezzo dopo pezzo, fino a lasciare al suo termine la più triste delle sensazioni partorite da un prodotto: il nulla.
E’ enorme infatti la galleria di difetti che questa serie mette in mostra nell’arco delle sue 25 puntate. La narrazione, ad esempio, divisa in due archi narrativi, ha una prima parte che presenta un continuo e fastidioso ricorso ai salti temporali, catapultando ripetutamente lo spettatore in un nuovo contesto e senza la minima spiegazione fornita. La struttura del racconto ne esce dunque confusa e malamente esposta.
E il problema non è solo legato alla narrazione. Il contenuto di molti singoli episodi appare spesso poco utile alla storia principale, mostrando sottotrame per nulla interessanti e inserite visibilmente con il solo scopo di allungare il brodo. Quando invece è la trama principale ad andare avanti, gli autori pensano bene di ricorrere a continui cliché e forzature.
I personaggi presentano poi una caratterizzazione dubbia: o appaiono stereotipati in maniera quasi imbarazzante o presentano cambi di personalità adattati a misura per l’occasione. Il protagonista, Kirito, (per dirne uno) è il classico prototipo dell’eroe invincibile, che trionfa a prescindere dalla difficoltà dell’ostacolo e senza distribuire un singolo momento di pathos nei confronti dello spettatore o che assume un atteggiamento che va dal virile al maldestro in meno di un secondo.
Tra i pregi di questa serie, che purtroppo non bastano a mio parere a renderla soddisfacente, vi è il curato e lodevole comparto grafico. Gli sfondi, in particolare, sono davvero ben realizzati e colorati. Anche la colonna sonora è una nota lieta in questo contesto, con alcune tracce molto apprezzabili.
In conclusione, SAO è stato una pessima esperienza da parte mia. E’ una serie che non mi sento minimamente di consigliarla, nemmeno a puro scopo di intrattenimento.

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