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Trainspotting / 19967.81118 voti

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VOTO:
8

Il surreale delirio visivo di Danny Boyle racconta questa storia barbara e abbruttita di una “sana tossicodipendenza”, di giovani rovinati dall’eroina e con l’alibi dell’anticonformismo.
Il tema di fondo è uno schifo, ovviamente, come tutto ciò che ha a che vedere con la dipendenza dalle droghe pesanti.
Ma nell’approccio descrittivo di Boyle (vedi l’insistenza sulla voce narrante), lo schifo risulta vagamente ammortizzato dal senso di immedesimazione (più o meno empatica) che il regista cerca di trasmettere all’osservatore.
E il risultato (visivo ma non solo) é indubbiamente interessante. Ci sono almeno tre scene che colpiscono profondamente:
– Mark che si tuffa in un cesso della “più lurida toilette di Scozia” (meravigliosa, in full HD) per recuperare due supposte d’oppio, come alla ricerca di una sorta di redenzione purificatrice;
– il tentativo di disintossicazione a casa dei genitori e il momento della crisi da astinenza (scena magistrale: quanto di più vicino al viverlo in prima persona, con l’immagine che bombarda, attraverso il nervo ottico, le medesime cellule cerebrali);
– l’overdose di Mark, portato in ospedale dentro un immaginario sarcofago rosso, sulle note di Perfect day del compianto Lou Reed. L’esperienza della morte, vissuta in pectore, di una camera ardente in progress ripresa in prima persona, e del ritorno alla vita.
Ma non sono le uniche scene degne di nota. Vi sono situazioni cariche di drammatica idiozia: su tutte, la morte del bebé (scena grottesca, non fosse che prima se ne erano giá viste di ogni) e il successivo buco espiativo.
I temi del tradimento, dell’educazione familiare, dell’utilitaristico abbraccio alla mediocritá e al conformismo. Dell’ipocrisia, delle dipendenze “altre” (il più schizzato di tutti alla fine é Begbie, quello che biasima pesantemente i tossici ma é sempre ubriaco come una spugna, alimentando in tal modo la sua innata psicolabilitá).
Del tempo che passa e di un cambio generazionale forse epocale, quello degli anni ’90 (“cambiano le droghe, cambia la musica”).
Sicuramente una regia importante, una colonna sonora super (da Lust for life alla Habanera della Carmen), una fotografia innovativa (l’uso del grandangolo che, con metafora visiva, deforma le persone e gli ambienti) e un montaggio impeccabile.
Sarebbe un quasi-capolavoro se non parlasse di un tema così visceralmente indigesto.

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