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Tre manifesti a Ebbing, Missouri / 20177.7459 voti

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Spettacolo di varia Umanità

di
VOTO:
7

Crescendo, ho imparato ad amare molto le belle storie che dimostrano quanto l’Uomo sia fallace, portato all’errore, alla confusione, al chiaroscuro, all’inciampo, storie che confermano -paradossalmente, proprio attraverso la loro natura fittizia-che, a dispetto di quanto politica, scuola, famiglia, letteratura, cinema, tv, fumetti hanno affermato a lungo, nella realtà reale, gli Eroi Buoni perfetti e cristallini non esistono e che anche sui Cattivissimi si può fare qualche ragionamento in merito. È rassicurante credere che non sia così, che esistono davvero persone completamente infallibili, capaci di fare sempre le cose e le scelte giuste, perché è Umano voler trovare un punto di riferimento, una certezza, un baluardo, un esempio.
Però, la deificazione è un’operazione cieca, egoista, perché tenta di escludere a monte dallo spettro delle azioni dell’Altro la possibilità che egli possa commettere errori, di fatto cancellando parte della sua Natura, depauperandolo di una sua imprescindibile caratteristica, solo per piacere/bisogno personale.

Una storia come questa firmata da McDonagh non fa sconti a nessuno, (di)mostrando come la varietà degli elementi psicologici, culturali e caratteriali dei singoli individui possa farli pendere pericolosamente da una parte all’altra della bilancia manichea Buoni/Cattivi nell’arco di pochi istanti, rendendola -di fatto- inutilizzabile.
Frances McDormand e Sam Rockwell interpretano due eccellenti esempi di questa diffusissima umanità lunare, e lo fanno benissimo. La McDormand è solita a questi ruoli (quello di Olive Kitteridge nell’omonima miniserie televisiva è uno degli esempi migliori), ma di volta in volta sembra perfezionare sempre di più il suo repertorio di Umanità. Qui, per esempio, è pura ferocia ferina, personalmente mai vista altrove, in altre sue prestazioni.

Tre manifesti è un film cattivo e sincero che, fra le varie cose, parla delle diverse declinazioni del senso della giustizia, sa far male in tanti modi e sa inquietare. Lo considero una prova evidente della crescita positiva di McDonagh, soprattutto -per quel che mi riguarda- rispetto al precedente “film americano”, 7 psicopatici, a mio parere troppo incerto ed emulativo (vedi, Tarantino, Guy Ritchie).
Questo, seppur debitore, per molti versi, all’approccio alla materia di autori come i Fratelli Coen, ha una sua forte identità.

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