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L'infanzia di un capo / 20156.614 voti

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L’inquietante affermazione di un super-ego

di
VOTO:
7

L’infanzia di un capo è l’interessante esordio alla regia dell’attore statunitense Brady Corbet, recentemente passato in concorso a Venezia 75 con un altro film, Vox Lux. Proprio a Venezia, nel 2015, questo lavoro di Corbet era stato premiato nella sezione Orizzonti per la Miglior Regia e con il Leone del Futuro per la miglior opera prima.

Con una grande padronanza del set e dei mezzi tecnici, supportato dall’ottima e livida fotografia di Lol Crawley (45 anni, l’episodio Crocodile della serie tv Black Mirror, The OA) e baciato dall’impressionante debutto del giovanissimo Tom Sweet, Corbet ha provato a costruire una metafora sul potere (e sul potere dell’ego).
Solidissimo nella costruzione delle immagini, il film di Corbet incespica sul piano narrativo. Laddove (Il nastro bianco, 2009) il suo mentore Michael Haneke (per cui Corbet ha recitato nel remake di Funny Games, 2007) ha compiutamente rappresentato la messa a dimora del germe nazista nel cuore della gioventù tedesca, qui Corbet sembra non centrare del tutto un obiettivo molto simile, proprio nel momento topico del racconto, il passaggio all’età adulta del protagonista.

Resta comunque un racconto inquietante sulla coltura del super-ego freudiano, il cui carattere perturbante è esaltato dall’adeguatissima scelta della location domestica e dei costumi, dall’uso di luci naturali (à la Kubrick) e dalla già citata prova del piccolo Sweet.
A parer mio, poco convincente la prova di Bérénice Bejo nei panni della madre, a tratti didascalica nel suo tentativo di mettere in scena una donna duale e disturbata.

Nota a latere: limite mio, non ho compreso se la “maledizione” della governante (Yolande Moreau) si realizza o meno.

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