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Pieces of a Woman / 20206.876 voti

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M

di
VOTO:
7

Da ieri su Netflix, Pieces of a Woman è il primo film anglofono dell’ungherese Kornél Mundruczó, presentato pochi mesi fa all’ultimo festival di Venezia.
Rispetto all’unico suo film che avevo visto, White God (su Raiplay) i passi avanti sono giganteschi: quel film sapeva tenere alta la tensione abbastanza bene, ma era troppo cretino (nella premessa) e troppo prevedibile (nell’intreccio) per essere preso seriamente.
Questo invece è un film che sfiora il capolavoro.
Una giovane coppia sta per avere una figlia, ma il parto in casa non va come dovrebbe e la bambina muore pochi minuti dopo la nascita. Il film ruota attorno alle conseguenze di questo lutto devastante, per la madre (Vanessa Kirby, ECCEZIONALE!), la donna sminuzzata del titolo, e per il resto della famiglia. Lo sviluppo emotivo, certo, come prevedibile, ma anche quello legale (la balia che doveva far nascere la bambina viene accusata di omicidio colposo).
Se riuscite ad andare oltre al raggelante piano sequenza iniziale, 20 minuti abbondanti di doglie e parto (mai una cosa tanto naturale e ovvia come il parto era stata raccontata così, e se qualcosa di questo film rimarrà nel tempo è di sicuro questo piano sequenza), se riuscite a sopravvivere, dicevo, anche il resto del film, pur smorzando leggermente i toni, rimane una riuscitissima afflitta analisi dell’anaffettività post-lutto e di un mondo che si sbriciola.
Peccato, peccatissimo, che l’ultimo quarto d’ora tenda ad andare in territori un po’ troppo retorici: c’è quel briciolo di speranza che forse serve per respirare nel finale di un film così, ma c’è anche l’impressione che se Mundruczó avesse avuto il coraggio di essere arcigno fino in fondo ne sarebbe risultato un film immensamente grande. E invece è “solo” ottimo.

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