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Joker / 20198.0603 voti

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Una risata ci seppellirà

di
VOTO:
8

(Riflessioni sparse)

Beh, stando a questo Joker, dopo film come Road Trip, Starsky & Hutch, la trilogia di Una notte da leoni e la variante sul tema Parto col folle, mi pare che, finalmente, Todd Phillips abbia fatto un po’ di strada, cinematograficamente parlando. Se non altro, ha messo da parte i suoi pro degli hangover, uomini “stonati” e puntualmente immaturi, per dedicarsi a un film più compatto, serioso, forse (dico, forse) provocatore, con un protagonista stimolantissimo: un supervillain senza passato. Il Joker di Batman che il mondo crede di conoscere viene riscritto per l’ennesima volta: nuovo giro, nuova corsa, nuove suggestioni.

Premetto che, in questo lavoro, Phillips-sceneggiatore non mi ha entusiasmata in toto (in questo caso, ha lavorato alla sceneggiatura con Scott Silver). Joker è un film a tesi non troppo originali: sostiene assunti ultra dolorosi e condivisibili, certo, ma scontati. E, poi, accenna ad alcuni elementi, senza sfruttarli mai (es. il sesso che imperversa nelle strade della città e nel diario di Fleck e, di concerto, un probabile complesso edipico di Arthur Fleck nei confronti della madre).
Ritengo che, nel complesso, il film debba la sua poco discutibile buona riuscita a Joaquin Phoenix e al fatto che Phillips abbia assecondato pedissequamente la sua propensione alla rappresentazione della alienazione, sempre presente nella filmografia dell’attore (scorretela: ogni suo personaggio è il riflesso di un disagio mentale, dal Jimmy Emmett di Da morire al Freddie Quell di The Master, dal Commodus de Il gladiatore all’Abe Lucas di Irrational Man, e così via, senza tralasciare il Joaquin Phoenix del mockumentary Io sono qui!).

Joker è un one man show in tutto e per tutto ed è questo che, forse in maniera prevedibile, mi è piaciuto/mi ha inquietato di più del film. Il Joker di Phoenix è alimentato dal disagio, quello del personaggio e quello dell’attore che lo interpreta.
Oltre alla apprezzabilissima capacità di conferire alla sua Gotham City un’allure ’70s impressionante (il che sottende un certo talento nella creazione di un credibilissimo contesto atmosferico e narrativo), principalmente, a Phillips riconosco il merito (non banale) di aver fatto un buon lavoro di casting e di aver saputo assecondare correttamente Phoenix, lasciandogli (mi pare evidente) la possibilità di partorire in tempo reale un profondo malessere. Suo malgrado, Arthur Fleck è uno dei tanti bubboni sulla faccia di Gotham. Il Joker è il pus che ne fuoriesce quando Fleck esplode. Una risata isterica seppellisce ogni cosa: sentimenti e razionalità.
Però, anche qui ho ravvisato una strana incertezza in fase di script. Una volta che il Joker prende il sopravvento su Arthur, o meglio, quando Arthur si evolve definitivamente in Joker, la sua follia è “parziale”: la clemenza che dimostra nei confronti della vicina di casa e del nano mi ha interdetto (non gli hanno mai fatto del male, è vero, ma, allora…). Pur avendo radici psicotiche, la follia del Joker è calcolata? Cioè, può essere tenuta a bada/può essere applicata solo in certi casi? Questa parzialità, programmata o dovuta al caso, non so, mi ha lasciato perplessa. L’ho interpretata come un’indulgenza nei confronti del personaggio che, però, a parer mio, ne indebolisce la oscura grandezza e mostra apertamente i limiti di un film a tesi come questo.

Al contrario (in questo caso, anch’io mostro un certo grado di dualismo, ne convengo), una delle teorie del film che ho apprezzato è la “negatività” di Thomas Wayne, un uomo ricco e abbastanza arrogante (“Vuoi un mio autografo, immagino”). Certo, è uno stereotipo ed è creato per esaltare la tesi dell’uomo invisibile e calpestato di cui Fleck è emblema. Ma mi ha intrigato pensare che Bruce Wayne/Batman non sia affatto dissimile dal padre e che, nella sua spasmodica ricerca di affermazione del vero e del giusto, sia cieco nei confronti dei reali bisogni della società che si propone di difendere e da cui, esattamente come il Joker, egli stesso è nato, letteralmente. Nel film del 2008, il Joker di Nolan dice al Cavaliere Oscuro: “Che faccio senza di te? Tu completi me (…) Per loro, sei come un mostro, come me”. Nella scena dell’interrogatorio, emerge l’incontrollabile follia latente di Batman, potente quanto quella di Joker, che, fra l’altro, definisce lapidario il nemico: “Tu sei spazzatura” ed è così che Fleck ormai Joker dice di venire considerato, durante la diretta con Murray Franklin (De Niro). Il Joker di Phillips si allaccia a questi dettagli, in un disegno filologico coerente, pur mantenendo una sua indipendenza narrativa e una inscalfibile compiutezza (ah, che bello quel “The End”, alla fine).

Appunti personalissimi all’edizione italiana del film (avrei voluto vederlo in versione originale, ma non ne ho avuto la possibilità, per ora):
– che fastidio l’alternanza tra cose che sono state lasciate in lingua originale (es. titoli e articoli dei giornali) e altre che sono state tradotte… L’apice di questa incongruenza sta nel diario scritto a mano, in italiano, da Fleck. Mah.
– Basta Adriano Giannini a doppiare i vari Joker: sono interpretazioni complesse, ne convengo, ma non l’ho apprezzato in nessuna occasione. Prima, il Joker di Heath Ledger, con le slinguazzate didascaliche (slap!). Ora, quello di Phoenix (emmenomaleché non gli hanno fatto doppiare tutte le risate!).

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