NientePopcorn

Coco / 20178.1460 voti

an image

La matematica delle emozioni

di
VOTO:
8

(Riflessioni sparse)

Avvalendosi di un plot ben sviluppato, di un ottimo character design e di una fantasmagoria di dettagli, pattern e colori, Coco sfrutta due temi carissimi alla Pixar, praticamente il leitmotiv di Lasseter & C., pigiando l’acceleratore sulle emozioni elementari.
Sinceramente, non avevo mai realizzato prima quanto, oltre che sul concetto in chiaroscuro di famiglia (anche estesa, vedi Monsters & C., A Bug’s Life, Cars o Arlo), la Pixar insista da sempre su quello della memoria.
Dal primo Toy Story in poi, infatti, il concetto di ricordo è praticamente imprescinidibile. La memoria dell’infanzia, dei bei tempi andati, della compagnia degli amati giocattoli, dei genitori scomparsi, della moglie defunta… Ciascun film Pixar esalta il potere e il valore della memoria, singola o condivisa. Non a caso, uno dei più grandi drammi pixar-iani è rappresentato dall’incapacità dei suoi personaggi di ricordare eventi o sentimenti (l’esempio più lampante è Dory in Alla ricerca di Nemo e Alla ricerca di Dory, ma c’è anche Riley in Inside Out).

Coco si spinge un po’ più in là, parlando esplicitamente di morte e usando con grande sapienza un preciso registro di toni, fra il drammatico spinto e l’avventuroso tout court.
Attingendo in maniera “commerciale” a un aspetto fondamentale della cultura messicana come El dìa de los muertos (peraltro, già sfruttato da un altro film animato, The Book of Life, 2014, co-prodotto da Guillermo Del Toro), Coco affronta l’argomento con estremo calcolo.

Perché la sequenza (quasi) conclusiva agita così tanto e diffusamente l’emotività del pubblico, inducendo in molti casi al pianto?
Perché, al di là della tenera rappresentazione di una indifesa vecchina, fa leva sui sensi di colpa, sulla consapevolezza (tutta adulta: infatti, non ritengo che-tanto per cambiare- sia davvero un film per bambini, ma che si tratti di un film per famiglie, che è un concetto profondamente diverso, perché presuppone il confronto e la discussione fra grandi e piccini)… Fa leva sulla consapevolezza, dicevo, di non aver dimostrato abbastanza affetto o attenzione a talune persone, in particolare a specifici membri del proprio nucleo famigliare. Insiste sul senso del rimorso, sul desiderio di tornare indietro e di aggiustare le cose o di godersele di più e sicuramente meglio.

L’apice della matematica dei sentimenti della Pixar viene raggiunto quando questi elementi dolorosi si fondono con il piacere dei bei ricordi. La vecchia nonna di Miguel, la Coco del titolo, vera protagonista del racconto, ha un solo ricordo preciso, quello del suo papà (e ditemi voi se non vi si accartoccia il cuore, vedendo/sentendo – a fronte del discutibile doppiaggio italiano affidato a Mara Maionchi- un’incartapecorita donnina che chiama suo padre con l’affetto dimostrato quando aveva solo pochi anni di vita). Pur volendole molto bene e trattandola con estremo rispetto, nessuno dei suoi famigliari aveva mai tenuto in conto la vastità del sentimento di Coco per quell’uomo scomparso improvvisamente e di quanto quel brandello di memoria riempisse la sua mente a dismisura.
Come dicevo, in questo film ogni cosa è calcolata, ma -accidenti- è pianificata benissimo.

Nota dolente (per me): la necessità imprescindibile di trovare un antagonista, un super-cattivo “gratuito”, cattivo per il gusto di essere cattivo, di mettere i bastoni fra le ruote, nero e basta (mica come l’orso Lotso di Toy Story 3, incattivito dagli eventi, un villain maturo e complesso, insomma).
Come già era accaduto con due film quasi perfetti come Wall-E e Up, dove lo scontro fra parti sembra esistere solo per non disattendere la tradizione, qui viene inserito un cattivone da manuale. Provando a immaginare la storia senza di lui, pensando che Héctor possa essere morto per cause naturali o per un accidente, il plot filerebbe comunque. In questo senso, Inside Out, per esempio, ha dimostrato maggior coraggio e più originalità di Coco. Perché, in assenza di un rivale preciso, propone un antagonista più difficile da contenere: sé stessi.

Questa recensione ha 3 commenti

Exit mobile version