Recensione su Coco

/ 20178.1459 voti

La matematica delle emozioni / 15 Gennaio 2018 in Coco

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

Avvalendosi di un plot ben sviluppato, di un ottimo character design e di una fantasmagoria di dettagli, pattern e colori, Coco sfrutta due temi carissimi alla Pixar, praticamente il leitmotiv di Lasseter & C., pigiando l’acceleratore sulle emozioni elementari.
Sinceramente, non avevo mai realizzato prima quanto, oltre che sul concetto in chiaroscuro di famiglia (anche estesa, vedi Monsters & C., A Bug’s Life, Cars o Arlo), la Pixar insista da sempre su quello della memoria.
Dal primo Toy Story in poi, infatti, il concetto di ricordo è praticamente imprescinidibile. La memoria dell’infanzia, dei bei tempi andati, della compagnia degli amati giocattoli, dei genitori scomparsi, della moglie defunta… Ciascun film Pixar esalta il potere e il valore della memoria, singola o condivisa. Non a caso, uno dei più grandi drammi pixar-iani è rappresentato dall’incapacità dei suoi personaggi di ricordare eventi o sentimenti (l’esempio più lampante è Dory in Alla ricerca di Nemo e Alla ricerca di Dory, ma c’è anche Riley in Inside Out).

Coco si spinge un po’ più in là, parlando esplicitamente di morte e usando con grande sapienza un preciso registro di toni, fra il drammatico spinto e l’avventuroso tout court.
Attingendo in maniera “commerciale” a un aspetto fondamentale della cultura messicana come El dìa de los muertos (peraltro, già sfruttato da un altro film animato, The Book of Life, 2014, co-prodotto da Guillermo Del Toro), Coco affronta l’argomento con estremo calcolo.

Perché la sequenza (quasi) conclusiva agita così tanto e diffusamente l’emotività del pubblico, inducendo in molti casi al pianto?
Perché, al di là della tenera rappresentazione di una indifesa vecchina, fa leva sui sensi di colpa, sulla consapevolezza (tutta adulta: infatti, non ritengo che-tanto per cambiare- sia davvero un film per bambini, ma che si tratti di un film per famiglie, che è un concetto profondamente diverso, perché presuppone il confronto e la discussione fra grandi e piccini)… Fa leva sulla consapevolezza, dicevo, di non aver dimostrato abbastanza affetto o attenzione a talune persone, in particolare a specifici membri del proprio nucleo famigliare. Insiste sul senso del rimorso, sul desiderio di tornare indietro e di aggiustare le cose o di godersele di più e sicuramente meglio.

L’apice della matematica dei sentimenti della Pixar viene raggiunto quando questi elementi dolorosi si fondono con il piacere dei bei ricordi. La vecchia nonna di Miguel, la Coco del titolo, vera protagonista del racconto, ha un solo ricordo preciso, quello del suo papà (e ditemi voi se non vi si accartoccia il cuore, vedendo/sentendo – a fronte del discutibile doppiaggio italiano affidato a Mara Maionchi- un’incartapecorita donnina che chiama suo padre con l’affetto dimostrato quando aveva solo pochi anni di vita). Pur volendole molto bene e trattandola con estremo rispetto, nessuno dei suoi famigliari aveva mai tenuto in conto la vastità del sentimento di Coco per quell’uomo scomparso improvvisamente e di quanto quel brandello di memoria riempisse la sua mente a dismisura.
Come dicevo, in questo film ogni cosa è calcolata, ma -accidenti- è pianificata benissimo.

Nota dolente (per me): la necessità imprescindibile di trovare un antagonista, un super-cattivo “gratuito”, cattivo per il gusto di essere cattivo, di mettere i bastoni fra le ruote, nero e basta (mica come l’orso Lotso di Toy Story 3, incattivito dagli eventi, un villain maturo e complesso, insomma).
Come già era accaduto con due film quasi perfetti come Wall-E e Up, dove lo scontro fra parti sembra esistere solo per non disattendere la tradizione, qui viene inserito un cattivone da manuale. Provando a immaginare la storia senza di lui, pensando che Héctor possa essere morto per cause naturali o per un accidente, il plot filerebbe comunque. In questo senso, Inside Out, per esempio, ha dimostrato maggior coraggio e più originalità di Coco. Perché, in assenza di un rivale preciso, propone un antagonista più difficile da contenere: sé stessi.

3 commenti

  1. Alicia / 11 Febbraio 2018

    Secondo me il villan di Coco è meno scontato di come potrebbe apparire. Ammetto che la sua rivelazione e le sue azioni siano abbastanza scontate, ma il personaggio ha una complessità che fa leva proprio sulla sua banalità. Mi spiego meglio… è pericoloso proprio perché è banale, è l’ambizione priva di talento che vive attraverso frasi fatte (cogli l’attimo, realizza il tuo sogno…cit) e apparenze, credo che la Pixar abbia voluto mostrarci un villan piccolo, minuscolo, insignificante però pericolosamente vicino alla nostra società.
    Certo, in alcuni passaggi del film, non è riuscitissimo…

    • Stefania / 11 Febbraio 2018

      @alicia: le tue sono considerazioni molto interessanti, grazie! ^_^
      Ma io, in realtà, mi dolgo di un’altra cosa 🙂 La necessità di un villain/antagonista a tutti i costi. La storia, di per sè, non lo richiede. Prova a immaginare Coco (o Wall-E o Up) senza i “cattivi”: la narrazione e le emozioni sono tutte sul piatto anche senza di loro. Quando la Pixar riuscirà a fare a meno di questi elementi “tradizionali” anche quando non sono strettamente necessari (per esempio, in Toy Story, A Bug’s Life, Monsters & C., Gli Incredibili… anche in Ratatouille, al contrario, sono utili), per me entrerà nell’Olimpo dei narratori (con Nemo e Inside Out, in realtà, c’è praticamente riuscita, perché ha usato le paure e i timori dei protagonisti, nessun nemico “visibile”) 😀

  2. Alicia / 13 Febbraio 2018

    Effettivamente anche io avrei preferito che il non-ritorno di Hector fosse dovuto alle sue scelte e alle sue debolezze, senza dover per forza giustificarlo in qualche modo. Così facendo il film avrebbe rappresentato la dimensione umana in una maniera più realistica forse, probabilmente gli autori hanno fatto una scelta più comoda ripiegando sulla convenzione….ma non mi è dispiaciuto tutto sommato….non toglieva niente alla storia e permetteva di costruire l’inseguimento finale utile alla narrazione…

Lascia un commento