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As bestas - La terra della discordia / 20227.938 voti

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Film pietroso, onesto e stimolante

di
VOTO:
8

As bestas di Rodrigo Sorogoyen è un film (pluripremiato ai Goya 2023) che, in maniera essenziale, oso dire efficiente, mette in scena istinti primordiali e ignoranza congenita con sufficiente realismo e senza particolari didascalismi (pur presentando caratteri e sviluppi “prevedibili”).
È un film molto “narrativo” (la storia principale e quelle che vi si innestano tendono -apparentemente- a prevalere sulla forma tecnica ed estetica) che, però, dimostra di avere una cura non indifferente nei confronti di alcune scelte di carattere tecnico (in particolare, fotografia, musiche e sonoro in presa diretta – questo, davvero eccellente, soprattutto, se penso a quello, per me discutibile, di alcuni film italiani visti di recente).

Il film, sceneggiato da Sorogoyen con Isabel Peña (che, se non sbaglio, ha lavorato a tutti i precedenti lavori del regista spagnolo: lungometraggi, corti, serie tv), è molto onesto e stimolante, perché non manca di sollecitare dubbi nello spettatore. Cioè, si appoggia solo in apparenza alla dicotomia tra “buoni” e “cattivi”.
Certo, affronta la frustrazione della persona tendenzialmente pacifica che si scontra con l’ignoranza culturale, morale e certe tare psicologiche di terzi e che non riesce a far valere ragionevolmente le proprie ragioni (e, qui, Sorogoyen fa qualcosa di profondamente diverso da, che so, il Peckinpah di Cane di paglia o il Boorman di Quel tranquillo weekend di paura, con cui, comunque, condivide l’abbrivo).

In particolare, la scelta affatto banale del regista spagnolo, che non scade nella prevedibile risposta “dente per dente” e che, al contrario, modula con sapienza i chiaroscuri dei personaggi coinvolti, come se li delineasse spostando continuamente dall’uno all’altro il fascio di luce di una immaginaria lampada a soffitto, si rivela in corrispondenza di un passaggio centrale della messinscena.
C’è un dialogo rivelatore, tra Xan (l’efficacissimo Luis Zahera) e Antoine (Denis Ménochet), in cui il primo esplica come, a suo dire, le scelte di vita del francese abbiano condannato definitivamente gli ultimi abitanti del villaggio alla condizione di miseria che li accompagna da generazioni.
In quell’istante, lo spettatore non può non sentire vacillare le proprie simpatie (o antipatie) e percepire chiara e forte una empatia con chi, fino a quel momento, aveva tacciato come “cattivo” (pur non giustificandone gli atti).
Applausi per Sorogoyen.

Mi permetto un consiglio: guardate questo film in versione originale, come, giocoforza e, quindi, praticamente per caso, ho fatto io (attualmente, infatti, l’unica sala che lo proietta nella mia zona lo propone solo sottotitolato in italiano).
Nella versione italiana del film, i dialoghi in spagnolo galiziano sono tradotti nella nostra lingua (mentre restano invariati quelli in francese). Ma, così, stando alle clip doppiate che ho visto, nonostante l’impegno dei doppiatori, mi pare che si perda l’indispensabile violenza ruvida, quasi pietrosa, dei dialoghi originali.

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