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I Soprano / 19998.3135 voti

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Diavolo di un Tony Soprano…

di
VOTO:
10

Avevo iniziato a vedere I Soprano nel giurassico 2001, al suo debutto televisivo italiano. Quanto mi piaceva! Gangster contemporanei, pim pum pam, un protagonista accattivante…
Ma le prime stagioni di questa serie tv erano confinate in seconda serata (su Canale 5, se non ricordo male) e, dopo qualche tempo, non riuscii più a starle dietro e la abbandonai.
Verso la fine del 2015, ho ricominciato a guardare tutta la serie, ripartendo dal primo episodio della prima stagione.
Credevo di conoscerla. In realtà, ho avuto il privilegio di (ri)scoprire da zero un prodotto televisivo che mi permetto di definire eccezionale.

All’epoca, pur apprezzando questa produzione, non ero davvero conscia di quello che stavo guardando. Ero ancora una ragazzetta, con poco patrimonio cinetelevisivo (e letterario e anche umano, dài!) in saccoccia.
A quasi vent’anni dalla sua uscita e a undici dalla sua conclusione, e alla luce di tanti emuli, variazioni, amplificazioni e mutazioni che, in teoria, avrebbero dovuto farmi gettare la spugna ben prima, I Soprano ha saputo coinvolgermi come altre produzioni recenti non sono state assolutamente in grado di fare.

La struttura stessa della serie tv è stata congeniale a questo recupero. Volti, nomi e relazioni sono ricorrenti, tanto da generare un flusso narrativo non sempre percettibile eppure ininterrotto, ma ogni episodio è un capitolo a sé, con incipit e chiusura netti. Così, ho potuto guardare i vari episodi quando più mi aggradava, anche a distanza di settimane gli uni dagli altri. Fare il punto della situazione, alla fine, non è stato mai complicato.
David Chase, Terrence Winter (di cui ho apprezzato un sacco le prime due stagioni di Boardwalk Empire), Matthew Weiner (che, nel frattempo, avevo amato per quel gioiello seriale che è Mad Men, che, dal punto di vista della scansione narrativa, funziona alla stessa identica maniera) e tutto il gruppo di sceneggiatori de I Soprano ha saputo svecchiare con apparente nonchalance i cliché del racconto televisivo seriale americano, aprendo nuovi e, fino a quel momento, incredibili scenari nella definizione dei personaggi e dei contesti.

I Soprano è una tragedia shakespeariana calata nel fuoco vivo del crimine organizzato italoamericano (badaben: il termine mafia, o meglio “cosa nostra”, viene scientemente pronunciata una sola volta, nell’ultimo, incredibile episodio della serie).
Tony Soprano (un grandioso James Gandolfini) è il Riccardo III della situazione, spesso sopraffatto dal desiderio e dal peso del potere. Si sente solo (in effetti, lo è, come ogni leader che si rispetti), non è mai certo di chi siano i suoi alleati e non sa quanto può contare sugli affetti.
È circondato da una corte immensa, composta dagli esatti corrispettivi regali di giullari, ciambellani, cortigiane e indovini e sfugge più volte alla morte per mano dei suoi consanguinei.
A tratti, emerge la sua volontà feroce di evadere da un ruolo che gli è stato affidato per via ereditaria. Il destino di Tony era scritto in quello del padre. Nessuno sembra esservisi opposto e lui l’ha accettato passivamente, un po’ per curiosità, un po’ per incoscienza.
La rappresentazione del contesto famigliare, in questo senso, è fondamentale e rappresenta, ancor prima delle vicende criminali ampiamente raccontate, il pretesto che muove tutta la vicenda.

Eludendo la definizione di famiglia mafiosa, sono i parenti stretti di Tony, quelli a cui è legato da legami di sangue o di parentela, a costituire gli ingranaggi del motore perfetto de I Soprano. Il rapporto con la madre, con lo zio, con la sorella e, poi, con la moglie, i figli e i cugini sottende tutte le azioni (e le reazioni) di Tony.
Quel che più mi ha colpito nella rappresentazione della varia umanità che affolla il cast di personaggi è il rapporto di questi comprimari con il protagonista.
In particolare, i famigliari più stretti vogliono sempre qualcosa da lui (protezione, denaro, affetto), tacendone puntualmente le attività illecite, fingendo che non esistano, mentendo a se stessi, sciacquandosi in silenzio la coscienza. Non è solo Tony a essere vittima di un cortocircuito morale permanente, ma anche la moglie Carmela (bravissima Edie Falco) e i figli sono perennemente incastrati in un limbo di contraddizioni da cui, in realtà, pur affrontando crisi interiori periodiche, non sembrano voler uscire (Meadow arriva ad ambire alla professione di avvocato penalista!). La figura “laterale” della psichiatra (brava anche Lorraine Bracco) che, in caso di necessità, ricorre a Tony pur biasimandone l’attività criminale, è decisamente emblematica.

Ci sono almeno un paio di situazioni che, nel corso delle 6 stagioni, al di là della mera rappresentazione della violenza più schietta e animalesca, mi hanno davvero turbata. Perché, a fronte di situazioni e scelte riprovevoli, non sono mai riuscita a non provare simpatia per Tony, a dargli perfino ragione (nelle posizioni, diciamo, non nelle soluzioni). Diabolico.

Ora, posso dirlo con sicurezza: è una serie tv perfetta e imprescindibile e sono stata davvero contenta di averla vista con calma e con la giusta consapevolezza.

Questa recensione ha 10 commenti

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