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L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo / 20157.1138 voti

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Biopic contraddittorio

di
VOTO:
5

Il film biografico resta un genere quantomai ostico: per me, è tuttora difficile dire cosa occorra davvero ad un biopic per girare come si deve, però mi accorgo subito quando la messinscena di vizi privati e pubbliche virtù mi piace oppure no.
In questo senso, trovo che Trumbo di Jay Roach, in fondo, sia una pellicola tecnicamente ben realizzata, con una bella ricostruzione d’ambiente (costumi e scenografie fanno il proprio dovere in maniera eccellente) e mi sembra che il film sia perfino riuscito a ricreare un barlume dell’atmosfera mélo-eroistica di certe pellicole dell’epoca, con inserti ironici gradevoli.

A conti fatti, però, mi è parso un film troppo agiografico, per entrare appieno nelle mie simpatie: credo che il suo grosso difetto risieda nel fatto che la figura di Trumbo soverchi le tematiche che il lavoro di Roach ha deciso di affrontare. Ed è emblematico che sia una vecchia intervista a Trumbo, inserita solo nei titoli di coda del film, a evidenziare uno di questi temi: la lista nera di Hollywood ha privato centinaia di individui della loro identità, trasformando il loro nome in un’arma contro se stessi e rendendoli colpevoli di crimini inesistenti, in un’insensata quanto inconcludente razzia nel nome di una inesistente democrazia. Ma, si badi, un concetto tale viene affidato ad un frammento documentario e non ad una parentesi di fiction.
Quello dei danni legati all’esistenza della blacklist, come altri argomenti decisamente forti, è un punto che, durante la visione del film, emerge a flash e a sprazzi, senza mai rappresentare davvero il perno del racconto: l’uso di una figura-simbolo, benché funzionale, fa assurgere le vicende del singolo ad epopea (comunque fallace), smarrendo per strada dilemmi, problemi e conflitti molto interessanti.

Una pecca che rimprovero molto al film di Roach, infine, è il fatto di aver affidato a Trumbo una battuta come: “Non esistono eroi o cattivi” e, poi, di aver delineato il personaggio di Edda Hopper come un perfetto villain disneyano, accanito, perfido (e amante della moda) come, per dire, Crudelia Demon (tacendo degli afflati quasi ascetici di Trumbo, che sopporta ingiurie, offese, fatica, minacce e reclusione con uno stoicismo invidiabile. Non nego sia stato così, ma, a questo punto, eroi e cattivi sono decisamente ben evidenti).
Insomma, ritengo che il suo eccessivo didascalismo, “contraddizioni” come quella citata e la semplificazione di talune problematiche (il rapporto coi famigliari, in primis) rendano questo un film quasi soprassedibile: peccato, visto l’argomento estremamente “scomodo” che affronta.

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