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L'ultimo spettacolo / 19717.847 voti

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Quella malinconia brutale

di
VOTO:
9

Le storie struggenti dell’America dal dopoguerra fino ai sixties, devo ammetterlo, mi affascinano da sempre. Ma laddove sussulto per semplici confezioni “vintage” come il bellissimo “American Graffiti”, o il più recente e tenero “Stand by me”, davanti a capolavori come questo di Bogdanovich mi sento mancare il fiato. Non c’è infatti il solo sospiroso effetto “melancholy” – il vento che spazza una cittadina desolata, piccole sale biliardo mal riscaldate, la radio, il drive-in, le infinite monotone highways americane, l’ultima proiezione di un vecchio cinema da cui il titolo del film – ma anche un ingrediente segreto, magico, il gioco raffinato e dosato con l’elemento surreale proprio di un Fellini (Ia scena della piscina al Country Club, molto felliniana), la ferocia nascosta delle relazioni umane che straripa nella letteratura americana del 900, come pure in pregevoli prodotti della TV (guardate bene la magnifica Ellen Burstyn; non vi ricorda una certa Bree di Wisteria Lane?). Quella malinconia brutale di un gruppo di tipici texani incapaci di commuoversi davanti al cadavere di un “idiota”.
Ottimo il consiglio di Welles all’amico Bogdanovich di girarlo in bianco e nero. La sequenza iniziale e quella finale coincidono, come a ricordarci che tutto è un ciclo. C’è un Jeff Bridges alle prime armi, una Cybill Shepard splendente ragazza annoiata, e poi c’è una grande Cloris Leachman (Frau Blücher!) casalinga depressa e fedifraga, meritatissimo premio Oscar.

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