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Il diavolo è femmina / 19356.819 voti

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Ambiguità normalizzata

di
VOTO:
6

Uno sgurdo contemporaneo si soffermerà in Sylvia Scarlett (usiamo il titolo originale, invece del demenziale titolo italiano) soprattutto sul tema dell’ambiguità sessuale: Katharine Hepburn si traveste da uomo e viene presa da tutti per un ragazzo. Cukor gioca indubbiamente con la curiosità dello spettatore: si noti come rimanda per qualche minuto l’inquadratura piena del viso travisato della Hepburn, riprendendola solo di spalle o in ombra o per brevissimi istanti. E tuttavia il tema – così potenzialmente scabroso – è depotenziato: non tanto perché nessuno scambierebbe mai veramente Katharine Hepburn per un uomo, malgrado l’impegno del truccatore, ma perché l’equivoco rimane sempre abbastanza innocente, a livello di commedia degli equivoci, e soprattutto perché il tomboy – la Hepburn esibisce oltre alla zazzera maschile anche discrete virtù atletiche – si trasforma inopinatamente in ragazza languorosa non appena si imbatte nell’uomo dei suoi sogni, normalizzando così ogni anomalia in deferenza alla propria “autentica” natura. Una cosa curiosa, tuttavia, è come la protagonista sembri talvolta variare ruolo di genere a causa del cambiamento d’abito e non viceversa: costretta a mollare gli abiti femminili rubati e a indossare di nuovo quelli maschili eccola subito spericolatamente alla guida di un’auto.

Per il resto il film non si può dire davvero riuscito (all’epoca fu un fiasco clamoroso). Sembra quasi che Cukor abbia cucito due film diversi assieme: a una prima parte abbastanza tesa, in cui i protagonisti agiscono da truffatori, fa seguito una seconda parte relativamente idillica, in cui i nostri si trasformano in compagnia cantante. Ma la commedia volge poi bruscamente in tragedia, salvo tornare quasi subito su un binario più leggero. A un certo punto – nella scena a casa dei padroni di Maudie – Cukor sembra quasi perdere il controllo del film, con gli attori che si esibiscono in un balletto farsesco abbastanza sgangherato, come se stessero improvvisando senza più direzione.

Katharine Hepburn rimane quasi sempre incantevole sotto qualsiasi travestimento, mentre Cary Grant si trova nella condizione per noi che guardiamo un po’ insolita di non essere protagonista assoluto. Edmund Gwenn (Henry Scarlett) e Dennie Moore (Maudie) sono per lo più insopportabili; Brian Aherne (Michael) è quasi invariabilmente – e improbabilmente – serafico.

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