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Cane di paglia / 19717.6125 voti

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Il richiamo della foresta

di
VOTO:
7

(Sette stelline e mezza e riflessioni sparse)

Peckinpah si sposta dagli Stati Uniti in Cornovaglia e imbastisce un saggio antropologico travestito da western a sua volta camuffato da thriller ultra-violento (nello stesso anno in cui Kubrick, altro americano in trasferta, realizza Arancia meccanica. Non sembra casuale lo scambio di battute: “Si vede tanta violenza in America?”, “Solo nei film europei”).
In Cane di paglia, c’è tutto l’universo del cineasta statunitense: sesso, violenza e antieroi sono i tre puntelli su cui si regge una vicenda specifica, ma universale, che tratta dell’istinto di sopravvivenza insito in ogni animale, estendendosi al concetto di affermazione del maschio alfa dominante.

Se dal contesto eliminassimo le connotazioni umane, infatti, resterebbe un documentario incentrato su un esperimento: l’inserimento di un animale tendenzialmente pacifico (David, interpretato in maniera ineccepibile da Dustin Hoffman, potrebbe corrispondere ad un quieto cane/gatto “di casa”, giocoso e sereno) nel territorio presidiato da un branco di randagi: il cane di paglia, l’animale-fantoccio a cui le leggi della Natura sono praticamente estranee perché, finora, non ne ha mai avuto esperienza diretta, si scontra con un gruppo di simili fisicamente prevaricanti che gli rimproverano l’intromissione nel proprio spazio e la conquista senza lotta della preda/della femmina.

Proprio sulla figura femminile presente in questo film si è accanita la critica dell’epoca, tacciando di misoginia il ritratto della sensuale Amy (Susan George): Peckinpah, in realtà, si limita a rappresentare la moglie di David come oggetto del desiderio (atavico) del branco, in una pura visione etologica della questione. Amy è, non a caso, una gatta (anche il suo “spasimante”, Charlie, la definisce così, prima di aggredirla in salotto), non solo in termini narrativi, ma soprattutto zoologici. Amy è irrequieta, perché sta valutando il proprio compagno alla luce di una situazione inedita: Amy, in quanto etologicamente femmina, ha il diritto di soppesare la qualità dei maschi che la circondano. Purtroppo, in questa visione animale(-sca) della questione, i soggetti maschili la considerano esclusivamente alla stregua di uno strumento attraverso cui soddisfare il proprio piacere in maniera brutale.
Lo stupro ad opera di due maschi del gruppo, tentato anche in una seconda occasione, è la messinscena di un accoppiamento violento che si verifica normalmente in Natura, esecrabile e disturbante poiché visto in un’ottica umana e civile.

La ribellione di David ai soprusi corrisponde al risveglio del suo istinto primordiale, al messaggio degli avi contenuto nel suo DNA: assediato come un pioniere nel suo fortino, il mite matematico usa cervello e predisposizione naturale per confrontarsi con chi invade quello che, finalmente, identifica come il suo territorio.
Per necessità, David ha sviluppato il senso del possesso, ha trovato un’identità e intende affermarla definitivamente (“Questa è casa mia”) con gli stessi mezzi sfruttati dai suoi antagonisti (arriva a minacciare la moglie, quando Amy, isterica, è disposta a far entrare nella villetta gli aggressori: “Stai qui, o ti spezzo un braccio”).
Letteralmente, David risponde al richiamo della foresta raccontato da Jack London: come il cane Buck del romanzo londoniano, il protagonista del film di Peckinpah si spoglia delle inibizioni della civiltà e ritrova la via dei suoi antenati selvaggi. Non sa quale sarà il suo destino (“Non so qual è la via giusta”, “Non fa niente: neanch’io”), ma è certo di essere cambiato e cresciuto.
Non è un caso che, nella scena conclusiva del film, manchi Amy: David ha affermato la sua superiorità, annichilendo nemici e compagna, da cui ha ottenuto ciò di cui il maschio alfa necessita (ammirazione, obbedienza) e a cui, apparentemente, non chiede più niente, forse neppure la fedeltà.

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