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Paris, Dabar / 20117.01 voti

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Drunk punks

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Piccolo gioiello del 2003, pressoché introvabile. Leggendo la trama, questo film potrebbe sembrare una semplice goliardata stupida, rassomigliante i film americani dove i protagonisti vanno, che so, a Las Vegas e si devastano, facendo scaturire situazioni più o meno comiche.
Non è il caso di Paris, Dabar, che prima di tutto si distanzia da quel genere di produzioni per la sua natura di docu-fiction, in cui la fiction però si vede molto poco ed è utilizzata principalmente per dare una coerenza al racconto. Tutte le scene della maratona sono invece reali e la bravura del regista sta soprattutto nell’aver saputo montare quest’ammasso di caos etilico dando il giusto ritmo alla pellicola e favorendo la formazione di momenti comici accanto ad altri più drammatici.
Il ritratto che ne emerge è di goliardia, rabbia, amicizia, violenza, tenerezza, squallore. Insomma, di umanità. I protagonisti, tutti esponenti del sottobosco bolognese (tra cui dj Pappa Rodriguez, scomparso di lì a pochi anni), hanno in sè uno spirito punk anarcoide e autodistruttivo, non privo di una certa genialità nel suo essere confuso. Dato il contesto non c’è spazio qui per il politically correct o le buone maniere, né per la delicatezza o il pudore, ma solo per la schiettezza, ed è giusto così.
Riesce in questo modo a emergere una certa dose di lirismo popolare, carnevalesco, il cui apice a mio avviso è raggiunto nei festeggiamenti finali, quando Luna, il transessuale che si concederà in premio (segreto per i partecipanti) al vincitore della gara, balla insieme al resto dell’allegra combriccola, mentre non a caso la banda suona le note di 8½ (una scena così l’avrei vista bene anche nel Pasolini delle borgate o nell’Almodovar più spensierato).
Un film che sarebbe piaciuto di certo a Charles Bukowski.

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