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J. Edgar / 20116.5366 voti

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Pasticcio

di
VOTO:
3

Oh, Clint, oh mio Clint. Chi se lo sarebbe mai sognato di vederti ridotto così? Ho visto tanti grandi essere resi schiavi del loro cinema, da Argento ad Allen, e perfino il grandissimo Martin Scorsese, ma non avrei mai creduto di poterci vedere te! Dopo aver meditato in uno stato di trans fisiologica sull’idea dell’oltretomba in Hereafter, il regista americano più in voga degli ultimi 40 anni, torna a parlare della sua America, l’America sporca, quella dal cuore nero. Ma per farlo torna a passato e scava nell’FBI, alla ricerca della storia segreta (e non poi così tanto) di J.Edgar Hoover, storico capo e fondatore del distretto investigativo, simbolo di un’America in procinto di attuare un profondo cambiamento, che però si taglia le ali da sola. La morale è sempre la stessa, nel passato stanno le radici di ciò che accade in questo nostro becero presente e allora via alla sua ricerca, per spiarlo in ogni angolo buio e riconsiderarlo, alle volte, come un periodo di mutamento e non solo come un periodo di distruzione dell’essere e dell’etica dell’essere. E allora ecco che Clint Eastwood, regista solitamente staccato dal suo passato(che cita amorevolmente quando capisce che il film non ce la fa a decollare da solo), stavolta, nel raccontare vita, morte e miracoli(e peccati) dell’uomo Hoover, compie l’errore di rendere la narrazione molto romanzata, anche se infinitamente reale. Non è chiaro Eastwood, non prende posizione e in questo caso non è certo un bene, su una figura così difficile da interpretare, che porta a spasso con sé il passato di un’intera nazione, che ha cambiato il modo di vivere la giustizia, o se così si può chiamare. Attraversando gli anni di storia, J Edgar si perde nelle sue pagine oscure e non ne esce più vivo, venendo quindi stritolato da esse e rendendosi conto dell’impossibilità di sentirle davvero sue. L’immagine del potere che viene offerta nel film è ambigua, folgorante eppure frustrante, ripetitiva, a volte noiosa. Il film è una vera e propria sicurezza per gli Oscar, è uno di quei film che può piacere all’Academy, pur non essendo certo un pezzo da novanta e anzi avendo molti, ma molti più difetti che pregi. La riflessione che Eastwood fa in J Edgar, incidendo i segni della fatica e dell’età sul corpo di un incredibilmente spaesato Leo Di Caprio, non è quella su un capo dell’FBI, con tutte le contraddizione del caso, ma bensì è quella su un uomo, con tutte le contraddizioni del caso. E il Clint, che ci ha sempre abituati a ritratti umani straordinari e melodiosi, come ogni suo personaggio, stavolta fallisce nel cercare di creare un personaggio ambiguo, in cui ci si riconosce, che si odia, ma che si rispetta, che non si conosce ma si potrebbe ammirare, oppure che non si potrebbe mai e poi mai ammirare. Montaggio frammentato, mescolamento spazio-temporale, eventuale disagio causato da questi lenti spostamenti, contribuiscono alla noiosità di un film che non dice nulla dal primo all’ultimo fotogramma. L’idea cinematografica da cui si parte è grandiosa: Uno dei migliori registi americani della storia, con un grande attore americano, a fare un biopic su uno dei maggiori personaggi, nel bene e nel male, americani del ventesimo secolo. Ma tra il dire e il fare, come al solito, c’è di mezzo un enorme oceano. Dustin Lance Black, sceneggiatore del film, non si accontenta di cercare di scoprire più cose possibili su Hoover e di ammassarle una sull’altra, ma cerca perfino di trovare qualcosa che non c’è, tra i mille indizi e i mille dubbi: sull’omosessualità del personaggio, sui suoi rapporti con la famiglia, sui suoi rapporti con l’America, coi giornalisti, con ogni istituzione. Diventa un ritratto quasi orgoglioso su un personaggio scomodo, che Clint fa rivivere sotto pellicola e che non ha il giusto seguito. Destinato a dividere, J Edgar conferma il triste declino dell’Eastwood regista, ma probabilmente verrà salutato come capolavoro dalla critica italiana, troppo impegnata a leggere i crediti del film, piuttosto che a guardarlo realmente. Pasticcia Clint, pasticcia Di Caprio, pasticcia Black. E il pasticcio è immangiabile.

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