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Il padre di famiglia / 19676.723 voti

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Loy e i sogni infranti di una generazione

di
VOTO:
7

Qualche anno prima dello Scola di C’eravamo tanto amati, Nanni Loy ha portato in scena le disillusioni della prima generazione di “giovani adulti” postbellici: il boom economico, le donne lavoratrici, i nuovi metodi educativi, la famiglia esplosa …
Forte della sua esperienza sul campo (vedi, le candid camera di Specchio segreto) e della sua capacità di osservare le sfumature tragicomiche della quotidianità, Loy entra nella casa di un italiano medio, un architetto urbanista romano antifascista e antimonarchico preoccupato della deriva palazzinara della capitale (un eccellente Manfredi, tra i protagonisti, non a caso, anche del citato film di Scola), per raccontare una società, quella italiana dell’immediato secondo dopoguerra, tesa tra le tensioni progressiste che vorrebbero affrancarla da un polveroso “provincialismo” e una serie di retaggi durissimi a morire, come la concezione della donna, vera e propria vittima del nido famigliare a dispetto della sua formazione culturale e dei suoi titoli di studio (il personaggio interpretato dalla brava Leslie Caron mi ha ricordato molto l’Angelica del Caro Michele della Ginzburg, prima, e di Monicelli, poi).
La sequenza conclusiva, con i bimbi alle prese con il traffico caotico di Roma, è molto tenera e decisamente emblematica: che siate cresciuti a pane e Montessori o sulla strada, la vita è una lunga serie di violente incognite.

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