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Tonya / 20177.3271 voti

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Incubo americano

di
VOTO:
7

All’inizio degli anni Novanta, la pattinatrice sul ghiaccio Tonya Harding è stata la prima atleta americana a eseguire in una competizione agonistica un salto difficilissimo, il triplo axel, ed è stata capace di ripeterlo senza fallo in diverse occasioni successive. Quanto bastava per farla entrare nell’Olimpo dello sport.
In realtà, il suo nome è diventato estremamente famoso anche all’estero per un altro motivo (ricordo chiaramente quando la notizia venne riportata anche dai tg italiani).
A lei, infatti, viene ricondotta l’aggressione violenta a una compagna di squadra olimpica, Nancy Kerrigan, che, pochi mesi dopo aver patito di una ferita a un ginocchio infertale da un maldestro “sicario”, avrebbe poi vinto la medaglia d’argento a Lillehammer ’94.

Come premesso all’inizio del film, questo biopic diretto da Craig Gillespie si basa su una serie di interviste particolarmente originali ai protagonisti della vicenda: Tonya, la madre LaVona, il primo marito Jeff, la prima allenatrice, una sedicente guardia del corpo, un giornalista.
Le dichiarazioni riportate sono evidentemente in contraddizione su molti punti e la sceneggiatura di Steven Rogers insiste bene sull’opinabilità dei punti di vista, ribadendo che, come accade nei “grandi misteri”, non esiste una sola verità e che questa ricostruzione ne propone una in particolare.
A fronte di questa considerazione preliminare, il film afferma con decisione una cosa precisa.

La storia di Tonya è la lampante dimostrazione che il sogno americano è una presa in giro.
La Harding è cresciuta indigente, vessata da una madre anaffettiva e violenta, molestata sessualmente da un fratellastro, picchiata ripetutamente dal primo marito. Potente e dotata, ha dimostrato in pista di essere una brava pattinatrice. Quelle caratteristiche che, nel mondo ideale propinatoci per decenni dagli U.S.A., in una sorta di campagna psicologica coercitiva, avrebbero potuto costituire i semi di una leggenda da tramandare (vedete? La Harding si è fatta da sé, con impegno e sacrificio, superando indicibili problemi, e noi la premiamo, per questo e per le sue doti) sono state il limite all’affermazione sportiva e personale di una persona.

Troppo povera, troppo grossolana, troppo impulsiva. Da quanto si apprende dal film, la Harding non veniva premiata adeguatamente dalle giurie delle competizioni nazionali a cui partecipava, perché non era ritenuta degna di rappresentare il pattinaggio americano per via di… se stessa. Invece di foraggiare il suo entusiasmo e il suo talento naturale (da piccola, rideva, quando pattinava: la pista era il suo elemento), i promotori dello sport americano hanno accresciuto la sua rabbia e la sua insicurezza.
Tonya non è stata uno di quegli atleti che hanno goduto di borse di studio o di agevolazioni legate alla propria attività agonistica. Privata dell’istruzione dai genitori, alla Harding è stata negata la possibilità di avere un’alternativa al pattinaggio, senza che peraltro questa attività potesse costituire per lei una fonte di sostentamento.

La madre ha giustificato i propri comportamenti nei confronti della figlia, dicendo che solo quando veniva bistrattata Tonya offriva le prestazioni migliori.
Tutti sembrano aver approfittato di lei: madre, marito, quel folle dell’amico che si spacciava per agente antiterrorismo, anche la pur apparentemente comprensiva allenatrice. Tonya ha fatto comodo a molti: le sue doti evidenti hanno fatto sognare chi, attraverso di lei, confidava in un’affermazione personale altrimenti irraggiungibile. Tonya è stata sopraffatta dalle ambizioni altrui.
Che sapesse o meno dei progetti relativi all’aggressione alla Kerrigan, Tonya è stata una vittima della sgangherata ambizione delle poche persone che hanno fatto parte della prima ma significativa parte della sua vita, quella dell’imprinting caratteriale, emotivo, sessuale.

Parteggiando chiaramente per la Harding e, quindi fornendoci un ulteriore punto di vista, cioè il suo, Gillespie racconta tutto questo attraverso un falso documentario mixato con la fiction, grazie a un montaggio degno di nota e vezzosi movimenti di macchina (le carrellate, in particolare) che, abbinati a una ricostruzione d’ambiente interessante e al surreale dialogo fra personaggi e pubblico al di fuori della cornice documentaristica, mi hanno ricordato (azzardo) certe cose di Scorsese. Le scene in cui la Harding pattina a velocità incredibili, con la macchina da presa che le vortica intorno (aiutata dalla CG), sono davvero adrenaliniche.
Il risultato è un racconto efficace, atroce e grottesco.
Brava Margot Robbie dallo sguardo folle e il sorriso spezzato, brava Allison Janney (oscar come non protagonista) che, qui, mi conferma di essere la gemella separata alla nascita di J.K. Simmons.

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