Un Virzì ancora acerbo, ma assai promettente, alla sua seconda pellicola, un film che non decolla immediatamente, forse per la ricca quantità di personaggi introdotti frettolosamente, quasi in massa, e alcuni dei quali, in effetti, non acquisiscono mai un valore soggettivo, destinati a rimanere sullo sfondo della collettività. Il piccolo sforzo richiesto da una familiarizzazione più lenta è ricompensato appieno da quel che ne segue, perché Virzì non sbaglia facilmente e riesce sempre a far affezionare a ciò che porta sullo schermo – perlomeno io mi sento sempre come un bambino che ascolta attentamente una favola quando si tratta di lui.
La prima parte del film si sviluppa attorno a un parallelismo politico, la rappresentazione stereotipata di un gruppo di destra e uno di sinistra che, nel trascorrere le vacanze estive in una mediterranea Ventotene, si ritrovano vicini di casa. Dopo che le differenze politiche dei vacanzieri culminano in un confronto-scontro sia fisico che verbale, il film sembra prendere tutt’altra direzione. Quel che a primo acchito può sembrare una rappresentazione sommaria ed estremizzata delle due ideologie, che sono in realtà modus vivendi, si rivela una sapiente scelta narrativa; esattamente come lo stereotipo viene creato, così viene fatto sfumare per lasciare spazio a un’esplorazione più approfondita delle dinamiche personali dei protagonisti. Il nastro viene riavvolto, le ideologie politiche cadono nel dimenticatoio per rivelare intimamente ciò che c’è dietro: persone. Sono solo persone con irriducibili vite fatte di problemi personali, desideri e insoddisfazioni, sogni e disillusioni, fragilità umane impossibili da inscatolare nella dicotomia destra-sinistra, anzi, sembra non avere più alcuna importanza. Tolti i costrutti politico-sociali, quel che rimane è il ritratto di un’Italia desolata che accomuna tutti.
Il film conserva la giusta leggerezza lungo tutta la sua durata, senza particolari pretese, nel pieno stile di una vera commedia all’italiana.