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C'era una volta in America / 19848.9794 voti

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Gangster revival

di
VOTO:
9

C’è quel ripetitivo, forse anche un po’ estenuante refrain di archi che illanguidisce l’anima. Cosa sarebbe Sergio Leone senza Ennio Morricone, mi son chiesto talvolta; e probabilmente la forza evocativa di film come questo sta proprio nell’inscindibilità di questo tandem. I film di Leone sono innanzitutto trionfo del suono e della musica.
Una banda di criminali in erba che sbuca giovane e ribelle dal ghetto ebraico di New York, una gangster story che è un revival delle vecchie gloriose pellicole sugli anni del Proibizionismo catturata, fotogramma per fotogramma, dall’ occhio attento di Leone che sfoggia interni preziosi e barocchi, panorami suburbani ricchissimi di dettagli, comparse disposte con arte e dovizia di particolari. Una storia profondamente virile, macchè diciamo pure turpemente maschilista, violenta e irredenta dove tra i duri DeNiro e Woods sfilano pupe con timidi abbozzi di personalità e gli antartici sguardi della McGovern, fanali di un azzurro alieno che cromaticamente ricordano un certo Straniero.
Molto efficace la stratificazione dei piani temporali (in tre epoche ed età diverse dei personaggi), su cui Leone gioca con estrema coerenza per portarci ad un finale a sorpresa.
Con “C’era una volta in America” Leone chiude una trilogia, quella denominata del “Tempo”, che a onor del vero non ha proprio nessun nesso tra le pellicole se non appunto la sequenzialità temporale. C’è sempre stato, e sempre ci sarà, un annoso dibattito sull’effettivo valore di questo regista; sono in tanti ad abbaiare contro la luna, financo alcuni critici i quali affermano con religiosa sicurezza che non merita di stare nel gotha del cinema. Ma forse sono loro a non meritare di l’appellativo di critici, eh.

Questa recensione ha 3 commenti

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