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Arancia meccanica / 19718.41383 voti

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La grande farsa

di
VOTO:
6

La Funeral March of Queen Mary di Purcell – brutalizzata dal sintetizzatore di W. Carlos – ci introduce al mondo di questo grottesco principe degli eccessi che è Alex De Large, sguardo da Peter Pan drogato, insaziabile esploratore delle “piacevoli vibrazioni trasmesse al basso intestino”.
Sarò onesto, questo film l’ho sempre evitato per pregiudizio. Ritengo la violenza un semplice ingrediente cinematografico, e quando essa diventa fulcro di un film mi provoca nausea, come se avessi fatto la “cura Ludovico”. Odio i film che la celebrano e la mitizzano, odio il culto dei revenge-movie, sono dannosi non perchè svegliano il serial-killer che è in noi, ma semplicemente perchè riducono la cultura cinematografica a uno stato larvale, uno stupido esercizio viscerale.
Ebbene qui mi sbagliavo, questo film non è ascrivibile alla categoria dei film “disturbanti”. Arancia Meccanica è una eccentrica grande farsa, tutto è parodistico e teatrale (vedasi le movenze da commedia buffonesca di vittima e teppisti nel tentativo di stupro, proprio su un palco teatrale). Arancia meccanica cerca lo choc culturale ma non si pone come obiettivo una subdola manovra di invasione psicologica nello spettatore. I drughi sono clown, si muovono come burattini e i loro ghigni sono maschere.
Credo che il metro per giudicare questo film non debba essere per forza di cose l’efferatezza dell’ultra-violenza. Infatti fuori da questo concetto, e liberandosi altresì dalla sindrome di religiosa devozione che emana ovunque il solo nome di Kubrick, si possono riconoscere serenamente parecchi limiti.
La sceneggiatura, ad esempio. Tu puoi chiedermi di credere a un mondo distopico, puoi chiedermi di credere a una invasione aliena o a una apocalisse zombie. Ma come il vecchio Hitchcock insegna, non puoi chiedermi di credere a una triplice sequenza di coincidenze; non regge la scusa della “rappresentazione”, Alex De Large scarcerato non può – non dovrebbe – incontrare per caso nel giro di un quarto d’ora tutte le sue vittime. Non regge neanche la scusa della fedeltà al “soggetto”; Kubrick non mi sembra peraltro uno che si ingessa davanti al perimetro di una storia.
O la musica. Dunque a De Large piace Beethoven: perchè? Non è dato sapere, è così e basta. Con questo principio, la colonna sonora propone Purcell, Rossini e Beethoven “così e basta”. C’è sicuramente una forza evocativa nel sottolineare una aggressione con le note della nona sinfonia, ma questa forza evocativa viene depotenziata se la musica non si limita a incorniciare una sequenza, ma è continua, persistente, quasi come una radio lasciata accesa mentre cerchi di guardare un film.
Stracciatevi pure le vesti, ma secondo me non si tratta di un grande film. Non regge il paragone nè con 2001 nè tantomento con il dottor Stranamore. Malcolm McDowell mi sembra un’angelo caduto, un corpo votato all’esposizione, non ho capito bene perchè ma non è tanto il suo personaggio a suscitarmi uno strano senso di pena, quanto lui come uomo e come attore.

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