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Qui rido io / 20217.348 voti

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M

di
VOTO:
7

In Italia negli anni ‘10 del ‘900 il re di Napoli è Eduardo Scarpetta, anzi Felice Sciosciammocca, il suo personaggio chapliniano in varie commedie, e le famiglie Sciosciammocca e Scarpetta sono le più popolari, una sulle tavole del palcoscenico e l’altra per le strade della città. Martone racconta il re Scarpetta nel momento del suo massimo successo, che è anche quello subito prima di una crisi coincidente con la causa fattagli da un D’Annunzio irritato dalla versione farsesca che il napoletano fa della sua Figlia di Iorio (bellissimo il montaggio alternato tra una dolente e lugubre Irma Gramatica e un grottesco Scarpetta en travesti nelle due versioni, quella seria e quella comica). Ma nonostante l’appassionata rievocazione del teatro di guerra legale che vede il tribunale come un nuovo palco per un irresistibile mattatore, il cuore del film resta la famiglia di un capocomico che è tale sempre, anche in casa e con i figli, sia quelli legittimi che hanno l’onere di un cognome che li condiziona e paralizza, sia quei tre naturali (Titina, Eduardo e Peppino) che hanno atteggiamenti e reazioni diverse nei confronti di quella figura paterna che permette siano qualificati come figli di N.N. e lascia che non possano essere mai chiamati Scarpetta ma De Filippo. E all’orizzonte si profila un nemico ben più pericoloso del Vate indispettito: il cinematografo. Il teatro di Martone (e di Scarpetta) è tutto e ovunque, anche e soprattutto in casa, dove il capocomico dirige la compagnia di mogli, amanti e figli, una personalità più grande di quanto le camere da letto o le quinte possano contenere, un’esistenza consacrata all’arte scenica che non ammette incertezze, un talento che il piccolo Eduardo guarda e studia con l’intenzione non solo di emulare ma forse addirittura di superare. Ci riuscirà, visto che a lui spetta l’onore dell’ultima immagine del film: una bella foto che gli scatterà la Lollo nel 1970, lui al trucco davanti allo specchio del camerino, quando avrà ormai conquistato tutto e potrà essere lui a dire “Qui rido io”. Impeccabile ricostruzione d’epoca fotografata da Renato Berta e viaggio (anche sentimentale, come Martone definisce la scelta delle musiche, tutte e solo canzoni popolari, con Sergio Bruni e “Indifferentemente” a fare da padroni) che parte dall’amore per il teatro e lì si ferma, perché oltre il teatro non c’è nulla: in quell’enorme film sul teatro che è Eva contro Eva, Mankiewicz faceva dire a Gary Merrill che tutto è teatro e il teatro è tutto; Martone aggiunge che il teatro è la vita e la vita è un teatro.

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